“De come va el mondo a mi no’ me intriga, mi penso soeo aea figa”
La scritta, nel bagno del bar da Nane, non è mai stata cancellata.
Aveva il suo effetto leggerla dopo essere stato all’incontro giovani del venerdì in patronato: quasi un dogma laico, messo lì a sfidare quelli che frequentavano la Chiesa e, diciamolo, onestamente molto più facile da accettare.
Quando esci dal bagno ed entri nel microcosmo del bar da Nane Sbérega, capisci perché quella frase sta ancora lì, intatta.
Tutti a parlar de quea o de ‘staltra, mentre sullo schermo della TV scorrono, nell’indifferenza generale, manifestazioni di piazza, guerre e le solite disgrazie del mondo.
L’attenzione si desta solo quando un pallone comincia a correre su un campo verde oppure, ultimamente, una pallina rimbalza velocemente da un lato a un altro del campo da tennis.
Da tutto questo, almeno, SolaRadio ne trae un indubbio vantaggio.
La nostra sarà anche una delle radio più piccole al mondo ma, la sua “redazione” si è da sempre avvalsa di un eccellente gruppo di collaboratori esterni, esperti a livello internazionale in quello che è il tema che, alla fine, interessa di più alla popolazione maschile di basso lignaggio alla quale appartengo anche io; il sesso.
Visto che dai nostri genitori, sull’argomento, non cavavamo un ragno dal buco, questo team di esperti si è occupato della nostra formazione sin da bambini. Siamo stati fortunati perché, altri nostri coetanei, come unica fonte di apprendimento, avevano i programmi notturni di Tele Capodistria (quei pochi che riuscivano a captarne il segnale).
Non c’è social o forum sul Web che, in materia di sesso, possa competere con certi personaggi stanziali del nostro bar: mi basta percorrere poche centinaia di metri da quello che si può definire il nostro “studio” per assistere a delle interessanti conferenze sul tema.
L’ultima in ordine cronologico è stata tenuta da uno dei nostri più prestigiosi “docenti”, Gianni Bencivenni detto el romagnoeo a causa della sua terra di origine.
Il tema era “autoerotismo e sogni erotici: un’opportunità più che un surrogato per sfigati e un peccato da condannare”. Ovviamente ho tradotto dal dialetto, in “lingua originale” non è pubblicabile.
Gianni, che già faceva ridere sentirlo parlare nel suo accento romagnolo; aveva una dote senz’altro singolare, ovvero riusciva, a suo dire, a fare sogni erotici a comando. Raccontava, più o meno, le stesse storie (o balle), degli altri con la differenza che le aveva vissute in sogno.
Pensate che le protagoniste dei suoi sogni, seppur molteplici, le conosciamo tette, pardon, tutte a memoria.
Per ragioni di spazio, vi cito solo le “presenzialiste”, ovvero le protagoniste del maggior numero di episodi onirici: la Roby ex collega, la Lolly collega attuale, la calda Teresa protagonista dei sogni “vintage” ovvero quelli che narrano, in una miriade di varianti, la prima trombata. Ci sono poi Iva e Roby2, le ragazze che frequentavano la palestra, quando ci andava, ovvero, quindici chili e passa fa. Non parliamo poi dell’immancabile Fede, l’amica dell’amica; nelle puntate in cui appare, si vede il Gianni che va a farle dei lavoretti in casa che poi lei, immancabilmente ripaga con altri … lavoretti. Recentemente la saga si è arricchita con dei nuovi episodi aventi come protagonista Dorina la rossa; la ragazza che lavora in pasticceria dalla Cesarina; non oso raccontarvi quello che accade dietro il bancone.
Franco “Gasetin”, patron dell’edicola di quartiere, follower della prima ora del Bencivenni, sta pensando seriamente di dare alle stampe un volumetto da vendere sottobanco. Ormai la gente non legge più e questa sarebbe una soluzione per salvarsi dal probabile fallimento, così da campare ancora qualche anno per permettergli di andare in pensione.
Una delle giornate clou della saga che io chiamo “Sex & the Paeassoni” è sempre stato il pomeriggio del primo gennaio.
Se uno voleva ascoltare le più belle favole del periodo natalizio, quello era il posto e il momento giusto, ovviamente, tutta roba da “vietato ai minori”. Poche volte nella vita mi sono perso i fantasiosi resoconti della nottata precedente. Anche se mi costava fatica, cercavo sempre di esserci, ed era forte la tentazione di portarmi appresso, di nascosto, il registratore per poi, mandare tutto in onda, l’indice degli ascolti sarebbe andato alle stelle, non ci sarebbe stato Auditel che tenesse e, almeno in zona, per una volta, avremmo battuto mamma RAI.
Era inoltre un’occasione di business per Silvano Visentin, general manager del bar da Nane. In un pomeriggio come quello, riusciva a smerciare tutti i tramezzini scaduti; tanto, gli avventori erano fortemente concentrati su altro.
Era divertente ascoltare i personaggi che si avvicendavano. Dava solitamente inizio allo spettacolo Denis Sgorlon; “che bea ciavada” esordiva toccandosi la pancia; non si capiva se avesse mangiato o trombato, probabilmente più la prima che la seconda e, per giunta, anche male. Gli faceva concorrenza Toni Lovadina, “che ciava de sera e anca de matina”, le sue storie ricalcavano fedelmente le sceneggiature del maestro Tinto Brass; soldi per il cinema risparmiati.
Riguardo le cifre sul numero totale di ciavae ; valeva la stessa cosa delle manifestazioni di piazza dove, la cifra dei partecipanti, fornita dalla prefettura e quella comunicata dagli organizzatori, in genere, differiscono di molto.
L’argomento, in realtà, rimane ancora oggi, uno dei grandi misteri irrisolti della storia; un giorno scopriremo cosa ha fatto sparire navi e aerei nel famoso triangolo delle Bermuda oppure, se gli alieni sono stati sulla terra ma, probabilmente mai verremo a sapere quante volte, e se, realmente, uno ga ciavà.
Anche Silvano si cimentava in racconti piccanti; il bancone, il bagno e, ovviamente, il tavolo da biliardo con le relative stecche divenivano di colpo le scenografie di un film porno.
Ogni tanto sul giornale salta fuori che nelle vicinanze hanno chiuso un centro di estetica gestito da cinesi a causa di certi trattamenti extra che vi venivano eseguiti con perizia sui maschietti.
E, ogni volta, tutti lo sapevano già da tempo. Tutti tranne la polizia e … il sottoscritto.
E ogni tanto, qualcuno, leggendo quell’unica notizia di tutto il giornale che gli interessa, sospira:
“Eh, bei tempi, quando ghe jera ea vecia Wanda operativa…”
Sin da bambini sapevamo che la siora wanda, quella che abitava in fondo a una delle viette … lavorava in casa.
Se chiedevamo ai nostri genitori cosa facesse di preciso; la risposta era sempre la stessa:
“No xe roba che ti pol saver.”
Il tipo di lavoro che faceva lo intuimmo, quel giorno memorabile, in cui si presentò davanti il banchetto dove vendevamo i nostri giornalini ormai letti e straletti.
Ci diede una borsa di fumetti dicendoci che, con una certa facilità, li avremo venduti a ragazzi più grandi di noi, ricavandoci alla fine un bel po’ di soldini.
Ci consigliò per questo di mostrali solo quando si avvicinava un potenziale cliente … di una certa età. Ci ordinò inoltre di non tentare di sfogliarli.
Come si sa, se dici ad un bambino di non prendere la marmellata che è dentro quel vasetto, sta pur sicuro che non appena ti volti è già con le dita dentro.
Fu davvero … eccitante leggere i fumetti di Lando, Cappuccetto Rosso, Il Montatore e altri; ci si aprì un mondo e, alla fine, scoprimmo qual era il mondo della siora Wanda.
L’eccitazione durò poco; perché, quando venne scoperto il “materiale” e la provenienza, finì tutto in tragedia.
Il povero Paperoga, che custodiva il malloppo, venne ritenuto il capo dell’organizzazione e subì l’immediato sequestro dei fumetti. Ci fu revocata la “licenza” del banchetto e i nostri rispettivi padri ci sottoposero a un percorso riabilitativo fatto di sberle e calci nel culo in quantità industriale.
La cosa ebbe un positivo risvolto culturale. Da quel giorno, Paperoga trovò delle valide alternative ai fumetti di Topolino. Nel suo garage, ben occultati dietro annate di Tex e Zagor, ci sono ancora alcuni giornaletti della siora Wanda salvati dal sequestro.
Dimenticavo di dirvi che al bar da Nane non entrano quasi mai donne.
Peccato, davvero. Perché se solo sapessero che lì dentro potrebbero saltare mesi di liste d’attesa del sistema sanitario e farsi una TAC Total Body gratuita, condotta da una delle più rinomate équipe di “radiologi” (da bancone), accorrerebbero a frotte. Un reparto così, la sanità pubblica se lo sogna.
Pensate che Memo Bottacin usa ancora i mitici occhiali a raggi X, pubblicizzati sul “Monello”, che vendevano per corrispondenza negli anni ‘70.
Tra le pochissime che ricordo ci sono due tipe con la balconata che sfidava le leggi della fisica e le labbra a canotto gonfiate più di un materassino da spiaggia.
Entrarono al seguito di un politico locale in piena campagna elettorale. Il tipo non poteva trovare argomento migliore per farsi votare; quelle due, sortirono l’effetto di centomila volantini.
Ora, non so dire se furono decisivi i voti degli avventori di Nane, fatto sta che il tizio fu eletto.
Di certo, l’uomo la sapeva lunga: interpretando a modo suo la piramide di Maslow, seppe far leva sui bisogni primari dei suoi elettori maschi.
Tipico caso di campagna ormonale.
Sex & the Paeassoni potrebbe essere tranquillamente il titolo di un programma cult di SolaRadio e avrebbe già il suo bravo conduttore: EnsoPenso.
Si, perché se c’è una persona che crede fermamente nella frase scritta nel bagno da Nane e che ne ha fatto il suo mantra esistenziale, è proprio lui; tanto che sono quasi convinto che l’autore anonimo di quella perla di saggezza sia lui stesso.
Non c’è volta che, quando siamo in giro, il nostro amico non vada completamente in tilt alla vista di una squinzia vestita secondo il suo canone estetico non negoziabile: minigonna, stivaloni e maglietta attillata.
Un look che per EnsoPenso è come per un toro, la muleta rossa.
E mica finisce qui.
Il mio socio, oltre a credere nella filosofia del bagno, crede fermamente anche nel grande proverbio universale:
“La donna del vicino è sempre più figa.”
E su questo principio fonda tutta la sua carriera di osservatore sociale; sempre impegnato a far paragoni tra Paola e le compagne / mogli degli altri.
È il Leopardi di SolaRadio: malinconico, incompreso e perennemente arrapato.
Quando lo trovo nel pieno di una crisi depressiva, e succede spesso, faccio da psicoterapeuta della domenica; per cui gli chiedo cosa lo affligge.
Uno si aspetterebbe risposte tipo:
- “La Paola mi ha lasciato.”
- “Mi hanno licenziato.”
- “Ho finito i soldi.”
Oppure, nella sua scala personale delle tragedie, quella peggiore:
- “Ha perso la Juve.”
E invece no. La risposta è sempre la stessa, scandita con la voce spezzata dell’uomo che ha visto troppe ingiustizie:
“Ti ga visto co chi che xe insieme quel rutto de tissio? A ‘sto mondo no ghe xe ‘na logica, anzi, no ghe xe giustissia!”
E lì capisci che quella frase in bagno rimane maledettamente vera e attuale, la corrente di pensiero più diffusa tra i maschi, il vero mainstream.
Basta leggere quelle due righe scarabocchiate sul muro, per capire che la “maggioranza silenziosa” non è solo un astratto concetto sociopolitico, ma una presenza viva, concreta, fatta di occhi abbassati su certe immagini e sogni proibiti rinchiusi dietro la porta del bagno.
All’inizio dell’autunno, passeggiare per le viette ha sempre avuto un sapore di malinconia.
L’estate è ormai un ricordo sbiadito, e con i primi freddi ritorna quel tanfo inconfondibile di brodaglia della siora Antonia Masiero.
Ormai Antonia ha superato i novant’anni e ha ceduto la licenza del suo minestrone alla badante moldava, una donna gentile ma generosa con la cipolla e con gli odori forti della sua terra. Il risultato è un effluvio ancor più penetrante, quasi una nebbia densa che porta a immaginare i grigi casermoni popolari e l’odore delle mense dell’ex Unione Sovietica.
Quel tanfo misto all’umidità che penetrava nelle ossa mi faceva sentire ancora più solo, tornava a galla quella stessa malinconia di tanti anni fa, quella che provavo ogni volta che, passeggiando tra le viette, mi illudevo di vederla comparire da lontano.
Capisco che forse, anche a me non interessa di come va il mondo ma, penso sempre a un’unica persona e rimpiango il mio primo amore di bambino.
Non era quel genere di infatuazione alla sex & the paeassoni fatta di occhiate rapide a tette e culi ma, un innamoramento vero, innocente, puro come un quaderno di scuola elementare appena comprato.
Di lei non mi colpiva il corpo, perché non avevo ancora il vocabolario per capirlo.
Mi colpiva l’anima, anche se allora non sapevo chiamarla così: era una sensazione che mi attraversava come una corrente leggera, un’intuizione che mi faceva stare bene solo a starle vicino.
Ricordo il momento esatto: un incrocio di sguardi, uno di quelli che durano tre secondi ma lasciano impronte che non se ne vanno più.
I suoi occhi mi guardavano davvero. Non sopra, non oltre, non attraverso.
Dentro.
E io, bambino confuso e felice, avevo la certezza impossibile di essere visto per quello che ero, con le ginocchia sbucciate, il fiocco del grembiule perennemente storto e quella timidezza che mi faceva inciampare nelle parole.
Quando ricambiava quello sguardo, sentivo qualcosa che somigliava moltissimo alla pace, come se il mio esistere diventasse improvvisamente semplice; senza tante bugie per farmi credere chissà chi, solo una piccola verità luminosa che esisteva tra noi due.
Era amore senza saperlo dire, senza bisogno di dimostrarlo, senza paura di perderlo.
Era amore nella sua forma più elementare e, forse proprio per questo, la più preziosa.
Ed è per questo che oggi lo rimpiango: perché non c’è mai stato, dopo, uno sguardo così limpido, così diretto, così capace di raccontarmi chi ero prima ancora che io lo capissi da solo. E, soprattutto, non c’è mai stato un dopo.
Era il mio primo amore.
E certi primi amori restano addosso come una cicatrice bella: non fa male, ma si sente.
Sento ancora il puzzo di brodo penetrarmi nelle narici. Questa volta però non è quello della vecchia Antonia ma esce dallo sfiato della cucina della casa di riposo. Quella tetra costruzione sorta, nel giro di pochi mesi che si erge sulle piccole casette delle viette.
Di fronte all’ingresso, scorgo una sagoma amica. Gianni, el romagnoeo stava imprecando, ovviamente in romagnoeo, per lo scooter che non voleva saperne di stare fermo sul cavalletto.
Quando l’ho visto, mi sono subito rallegrato.
Dovete sapere che Gianni, oltre a essere un grande regista di film auto-erotici è anche un grande conoscitore di musica. Da buon romagnolo mi ha fatto apprezzare il liscio e altri generi che prima disdegnavo.
“Mo tieni … per la radio. Roba buona … roba forte” Non so quanti CD mi ha prestato e che non ha mai voluto indietro.
“Vacca boia, mo guarda chi c’è! Vieni che ti presento una gran figa”
Pensavo che a momenti sarebbe uscita una biondona dell’est di quelle che lavoravano lì invece, mi fece cenno di seguirlo dentro.
Di Marta, mi colpirono subito i suoi occhi scuri profondi che emanavano una dolcezza infinita. Mi colpì anche quella vecchia scatola di latta che teneva stretta tra le mani, quasi ad abbracciarla.
La riconobbi dall’inconfondibile scritta consumata “Malto Kneipp – Mens sana in corpore sano”. Era la stessa che usava mia nonna Angela per custodire i suoi ferri da maglia.
Eppure, l’ironia era crudele: Marta non aveva più né un corpo sano, e ancor meno una mente lucida. La sua vita intera, la sua memoria, tutto ciò che era stata, giaceva racchiuso lì dentro, in quella scatola battuta dal tempo, ricolma di fotografie di lei e di Gianni.
“Sai, ogni volta questa bella gnocca fa finta di non conoscermi, ma io, conosco le parole magiche per farle tornare la memoria, le prime che mi ha detto”
Si chinò verso di lei, le sfiorò la fronte e sussurrò:
“Fammi un coccolo…”
Li lasciai così, stretti l’uno all’altra, e me ne andai con il groppo in gola.
È vero, a volte non ci interessa niente di come va il mondo, abbiamo altro a cui pensare.
La canzone dell’amore perduto … ascolta il podcast
Alla prossima trasmissione … rimanete sintonizzati!
Racconto tratto dalla raccolta SOLARADIO – © 2025 Michele Camillo