La mia estate … da Nane

Nel pignaton, dove prima galleggiava el musetto, ora ci sono i bovoeti. In realtà, c’è una montagna de ajo sotto la quale devi metterti, con santa pazienza, a cercare qualche bovoeto; è il segnale inequivocabile che è arrivata l’estate. 

Ho riflettuto parecchio e, secondo me, il bar da Nane Sberéga, è uno degli ultimi posti dove sono rimasti alcuni pezzi della tipica estate italiana; quella, per intenderci, dove primeggiava l’anticiclone delle Azzore, meglio conosciuto come anticiclone del colonello Bernacca e non, quel cancaro bueo marso di anticiclone africano; che, a detta di certi esperti di geopolitica, di cui il bar da Nane è strapieno, è stato portato in Italia, assieme alle zanzare tigre, da quelli che arrivano con i barconi.  

Oltre ai bovoeti, ci sono le fette di anguria che, Silvano Visentin, general manager, nonché, per discutibili diritti di famiglia, proprietario del marchio Nane Sberéga, ha ancora il coraggio di vendere sfuse, nonostante le mille intimazioni dell’ufficio di igiene.  

In tutto questo c’è comunque un innegabile vantaggio. Se uno ingurgita velocemente, prima ‘na sbrancada debovoeti co’ tanto ajo e poi due fette di anguria, molla un possente rutto, in grado di uccidere tutti i mussati presenti in un raggio di trenta metri dal plateatico del bar, facendo risparmiare al Visentin un bel po’ di soldi per il trattamento.  

Se poi, Denis Sgorlon e Memo Bottacin, uniscono le loro forze per produrre un corale super rutto, l’efficacia è ben superiore a quando, negli anni ’70, veniva spruzzato il DDT con l’elicottero; roba da matti; almeno, rispetto al DDT, ‘sta cosa è più ecosostenibile. 

Oltre ai bovoeti e alle fette di anguria, ci sono i restai ovvero, quelli che, per una ragione o un’altra, non vanno a trascorrere l’estate in nessun posto, che non sia a stretto tiro di sigaretta dal bar. Quelli che, se sottoposti al domandone dell’estate ovvero, “dove ti va in ferie ‘sto ano?”, non possono far altro che ripetere mentalmente, come un mantra, un vecchio detto locale: 

Ghe xé chi che va ai monti, chi che va al mare, e chi, che va; ben, ben in cueo de so mare”

Anch’io, Paperoga e EnsoPenso, facciamo parte del gruppo dei restai. Discendiamo da una stirpe di restai, figli dei figli di restai. I nostri avi, non si sono mai mossi dalle loro case, non hanno mai visto né monti né mari ma, solo la piatta e triste pianura padana dove, l’orizzonte è così piatto che, se cadi, al massimo, rischi di rotolare fino al vicino di casa. Gente che la carta geografica la usava solo per accendere la stufa. 

Noi restai, non abbiamo lo spirito del viaggiatore; viaggiare, allontanarci dalle nostre sicurezze, ci mette ansia. Siamo quelli che, quando raramente partiamo, ci voltiamo indietro, centinaia di volte, per la preoccupazione di non aver chiuso il rubinetto del gas. Quando poi arriviamo; in genere in posti che non sono a più di qualche ora di macchina dalla nostra casetta; come sotto naja, contiamo i giorni che ci mancano per tornarci.  

Sia ben chiaro; noi non partiamo per scoprire il mondo: noi partiamo solo per ricordarci quanto ci piace stare a casa! 

L’istà da Nane, ha il suo particolare dress code; braghe curte, calseti longhi, savate ai pie, camisa sbotonada e pansa fora; è tollerata la canottiera ma, rigorosamente bianca e ingiallita dal sudore.  

A proposito di sudore, nelle ultime torride e afose estati furoreggia ea gara del petaisso.  

Consiste nell’appiccicarsi al petto una carta da gioco; vince il più petaisso, ovvero intriso di sudore, quello che riesce a rimanere con la carta appiccicata più a lungo. Il record lo detiene Lele Bulegato; pensate, ha fatto addirittura il giro dei paeassoni di corsa, senza che la carta si staccasse dal petto.  

Non c’è da stupirsi quindi se, al Lele, passandogli una fetta di pane pugliese sotto le ascelle, ne ottieni un’ottima bruschetta al gusto ajo ojo e segoa

L’istà da Nane, è triste. Ci sono tipi come Walter Radonic meglio conosciuto come el mulo de Parenzo o anche el Soeta (civetta n.d.r.),che passano tutto il giorno a parlarti di morti annegati, morti avvelenati, morti dal caldo, morti di malattie portate dalle zanzare e morti di figa. Governi che cadono, borse che cadono, montagne che cadono e palle che cadono. Prezzi degli ombrelloni che salgono, temperature che salgono, contagi che salgono e terroni che salgono. 

L’istà da Nane, è malinconica. Il campionato di calcio è ormai alle spalle. Ci sono tipi come Memo Bottacin ai quali, non rimane altro che fare l’elenco delle occasioni perse durante le innumerevoli estati spese alla perenne ricerca di quella cosa che fa girare il mondo. Sono sempre le solite storie di more italiane e bionde tedesche; di folte pinete e grandi dune. Posti sconti dove c’è sempre mancato un pelo per …  

L’istà da Nane, sembra non passare mai. Ogni anno fa sempre più caldo e ci sono sempre più zanzare. I restai, hanno sempre più casini e preoccupazioni; prima fra tutte, quella de tendar i veci. I parenti si eclissano, lasciando solgropon del restà, ea vecia o el vecio o, tutti e due. 

Ogni giorno i restai sono alle prese con badanti che spariscono improvvisamente, badanti che spariscono improvvisamente assieme ai soldi, badanti che spariscono improvvisamente assieme ai soldi e al cognato. Medici che non si fanno trovare, medici che quando si fanno trovare, non vogliono farti la prescrizione. Medici che quando si fanno trovare, sotto minaccia armata ti fanno la prescrizione ma, la sbagliano. 

Per questo, i restai non vedono l’ora che ritorni l’inverno perché, almeno dal freddo, vestendoti, ti puoi difendere e perché, il freddo ammazza tutti quei cancari de mussati. I restai non vedono l’ora che ritorni l’inverno perché torna il campionato e el museto coe verze. Alla fine, i restai non vedono l’ora che ritorni l’inverno perché non si sentono più restai

Che dire. Anch’io, da buon restà, non ho più molta simpatia per l’istà che, mi riduce a essere più petaisso di Lele Bulegato. Mi chiedo che fine hanno fatto le notti d’estate italiane, quando arrivava un po’ di fresco e, nella vietta, si usava portar fuori le sedie che avevamo in casa, per starcene tutti all’aperto a chiacchierare con i vicini, condividendo qualche fetta di anguria; ora, si sente solo il sordo rumore dei condizionatori.  

Per fortuna, ho ancora la mia fidata ATALA nera, classe 1978, assieme a lei e a una tanica deUtan, alla sera, andiamo alla ricerca dei rimasugli dell’estate italiana.  

Ci basta varcare il confine dei paeassoni e salire sull’argine del canale dove, di colpo, la vegetazione e i campi de panoce, rendono l’aria più fresca. Dopo qualche centinaio di metri, le luci e i rumori sfumano. Si sente solo il canto dei grilli e nel cielo appare una miriade di stelle, fino a poco prima offuscate dalle luci della città. 

Mi distendo su un pontile della cavana a godermi lo spettacolo.  

La luna che si specchia sull’orizzonte della laguna sembra voler fare la civetta e strizzare l’occhio a certi che, come me, sanno ancora lasciarsi incantare. E io, da buon radiofonico nostalgico, non posso non pensare a Luna di Gianni Togni. È come se in quell’alone d’argento si nascondesse quella canzone e tutte le mie estati passate. 

Estati infinite in cui ho lanciato mille palloni sulla battigia, rigorosamente “per caso”, sperando che li raccogliesse una ragazza. Magari una con un sorriso timido e uno sguardo che avrei voluto fosse eterno… o almeno durasse più di quei due secondi prima che si girasse verso il suo fidanzato muscoloso e abbronzato. 

Quella miriade di ragazze che mai si ricorderanno di me, ma che io, invece, porterò per sempre nella memoria, anche se le ho viste solo per una frazione di secondo, come lampi fugaci in un pomeriggio di sole accecante. Sono rimaste lì, ferme in me, come fotografie ingiallite che la memoria, ha voluto ritoccare a mano. 

E ogni volta che torna l’estate, con il vento caldo e l’aria salmastra della barena, tornano anche loro. I ricordi e le dolci speranze, fragili come schiuma che muore a riva. Torna il desiderio di rivivere ancora, solo per un attimo, quei momenti che non torneranno più. 

Ormai, mi sono quasi abituato a vivere di rimpianti e ricordi, per cui, come Silvano che, non appena sente aria di estate, mette su i bovoeti, io, a SolaRadio, metto su Luna di Gianni Togni. 

L’istà da Nane, è ascoltare SolaRadio. E’ l’unico bar sulla faccia della terra e forse anche dell’universo conosciuto, che offre questo servizio di alto valore sociale, a cui tutta l’umanità dei paeassoni, sarà per sempre grata.  

E non perché, come asserisce qualche nostro spiritoso ascoltatore, Solaradio ha il potere di scacciare i mussati in quanto, certe canzoni che mandiamo in onda, non le sopportano neppure loro. Ma, fondamentalmente perché questo nostro scassatissimo e unico microfono che abbiamo, aiuta a combattere il vero flagello dell’estate; la solitudine.  

Perché SolaRadio entra in bar da Nane con la leggerezza di quella brezza che, nelle vecchie notti di estate italiane puntualmente, dopo cena, arrivava a farti compagnia.  

Perché SolaRadio, fa sentire chi resta in bar attaccato a quello scassatissimo e rumoroso ventilatore, parte di una scassatissima e rumorosa famiglia … più del ventilatore. 

 Parché l’istà da Nane no sia nà istà passada da soeo … come un Nane

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Dedico questo piccolo racconto a Luciano Minghetti; al bel ricordo delle mattinate estive, quando, da ragazzino, mi divertivo ad ascoltare “Lettere a Luciano” su Radio Capodistria. E’ anche a lui che devo la passione di “fare radio”, quella che mi fa stare tutt’ora, seppur sotto falso nome e “part-time”, dietro un microfono. 

Ciao Luciano 

… Uno dei tuoi “Balubini” 

Luna … ascolta il podcast

Alla prossima trasmissione … rimanete sintonizzati! 

Racconto tratto dalla raccolta SOLARADIO – © 2025 Michele Camillo

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