Fio dei Fiori – Parte II^ Storie di due donne
© 2009 – 2024 Michele Camillo
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Capitolo 19 – Due donne
L’abbaiare minaccioso di un cane che da un viottolo laterale stava velocemente venendole incontro la fece trasalire; se l’avesse azzannata, sarebbe stata la misera fine del suo viaggio appena iniziato. Rimase immobile cercando di non mostrarsi ostile, alla mal parata avrebbe potuto colpirlo con la chitarra. No, era l’unica cosa preziosa che le restava, avrebbe piuttosto preferito morire sbranata, lasciando intatta la chitarra, con la quale le sarebbe piaciuto essere seppellita.
Il cane, continuando ad abbaiare a squarciagola, fortunatamente, si fermò al limite del viottolo; probabilmente voleva solo impedirgli di varcare il confine del territorio assegnatoli a guardia. Kate tirò un sospiro di sollievo, si accorse che le gambe stavano tremando ed era tutta un bagno di sudore. Nonostante l’aspetto trasandato che lo faceva sembrare feroce, aveva uno sguardo dolce, smise di abbaiare e la fissò con gli occhioni languidi, quasi volesse scusarsi per avere esagerato con la scenata intimidatoria messa in atto poc’anzi.
Una donna con un bambino in braccio richiamò il cane. Kate continuava a starsene ferma immobile mentre la donna, mettendosi una mano sulla fronte per eliminare il riflesso del sole ormai al tramonto, stava cercando di capire chi fosse quella figura all’altra estremità del viottolo. “Acqua”, fu la prima parola che riuscì a pronunciare non appena furono a portata di voce; aveva una sete terribile dovuta allo spavento.
Con un gesto della mano, la signora, che indossava una specie di camicione a fiori alquanto consunto, le fece cenno di seguirla. Il cane, scodinzolando, pian piano le si avvicinò per annusarla, il dubbio che non lo lavassero risultò fondato in quanto emanava un odore nauseabondo, questo, la fece desistere dal proposito di accarezzarlo, giunto sull’uscio di casa si accovacciò vicino alla porta, probabilmente non gli era permesso di entrare.
Non appena riuscì a scorgerla bene in volto, Kate ebbe la sensazione che la donna fosse felicissima di quell’inaspettata visita, come se fossero anni che non vedeva nessuno. Si presentarono ma, nessuna delle due riuscì bene a capire i rispettivi nomi.
Nella grande cucina dove entrarono, c’era una stufa alimentata a legna con la pentola sul fuoco. Il profumino era invitante e, oltre alla sete, le prese un certo appetito.
La signora posò il bambino su di un fasciatoio improvvisato sopra il tavolo della cucina e insistette per farla sedere.
Si trovò faccia a faccia con il piccoletto, che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere nato da poco. Il bambino si accorse immediatamente della sua presenza, cercò subito un contatto tendendole le braccia. Era la prima volta che ne toccava uno così piccolo, la manina stringeva forte il suo dito mignolo e non aveva nessuna intenzione di mollare la presa. Kate realizzò che gli stava parlando nella sua lingua ma, aveva l’impressione che capisse lo stesso. Alla fine, parole e gesti di affetto sono universali.
Non appena staccò le mani per bere l’acqua, subito il piccolo iniziò a piangere. A quel punto, incoraggiata dalla mamma, non le restò altro che prenderlo in braccio. Le prese per un attimo il panico, aveva paura di fargli male, non sapeva proprio come tenerlo; durò solo un istante, quasi per istinto le venne naturale trovare il modo per coccolarlo.
Non le fu per niente facile iniziare a spiegare come mai si era trovata a passare di lì; le sembrava che quella donna non parlasse italiano, ma una specie di linguaggio locale. Però, forse per telepatia solidarietà fra donne, Kate ebbe la netta sensazione che comprendesse comunque quello che diceva tanto che, a un certo punto, la signora le accarezzo la testa passandole delicatamente la mano tra i riccioli.
Considerando la complicità che si era instaurata fra loro due, non si stupì più di tanto quando, sbiascicando qualcosa in un italiano più stentato del suo, le offrì di fermarsi per la notte.
Kate acconsentì e subito a quella signora col vestito a fiori, brillarono gli occhi. Probabilmente doveva sentirsi sola e, la possibilità che una persona, seppur straniera, si fermasse a farle compagnia, la riempiva di gioia. L’euforia della signora era alle stelle, trascinò Kate su per le scale, lei la seguì con il piccolo in braccio fin dentro una stanza con il pavimento in legno che scricchiolava tutto. Le indicò un lettino e disse “Angelo” poi, un letto più grande e disse “Cate”.
Angelo, nel frattempo, gli si addormentò in braccio, d’istinto lo baciò e lo mise delicatamente nel lettino, il piccolo fece una leggera smorfia come si fosse accorto di non essere più avvinghiato a lei.
La padrona di casa, con gesti veloci, distese il materasso che era ripiegato su sé stesso e dal quale uscivano dei filetti di paglia poi, prese da un vecchio comò le lenzuola.
Ora che il letto era ben che fatto, c’era un grosso problema da risolvere, aveva urgentemente bisogno di un bagno; sbirciando in giro non aveva visto niente. Doveva in qualche modo farsi capire per cui, si mise le mani sulla pancia facendo contemporaneamente la faccia sofferente. La signora iniziò subito a ridere, aveva capito al volo, bene così perché, nel frattempo era giunta al limite del contenimento. Altro cenno di seguirla e, si trovarono nel cortile sul retro della casa, qui le indicò un casotto in legno. Chiusa la porta pensò che non ci fosse tempo per schizzinoserie varie e fece quello che doveva fare. In dotazione vi erano un secchio pieno d’acqua e dei ritagli di giornale, sorrise e pensò che quella potesse considerarsi un’esperienza da vera viaggiatrice.
Recuperò la chitarra e il pesante zaino che erano ancora in cucina e li portò in camera. Con sua sorpresa, la signora nel frattempo le aveva fatto trovare una bacinella con dell’acqua calda, un asciugamano e del sapone; cose essenziali che apprezzò molto; erano sufficienti per darsi una sistemata dopo quel primo giorno di viaggio. Ogni tanto dava un’occhiata premurosa al piccolo Angelo. Ironizzava sul fatto che, pur nato da poco, si trovava già una ragazza nuda in camera; gli augurò di non diventare un maiale come la maggior parte degli uomini.
Mentre si stava lavando, udii la voce di un uomo provenire da sotto, probabilmente si trattava del marito della signora. Sentiva chiaramente che stavano discutendo ad alta voce, udiva la donna tentare di replicare ma, la voce di lui subito la sovrastava.
Affrettò le operazioni di toelettatura, ebbe la sensazione che l’oggetto di quella discussione accesa fosse proprio lei. Era meglio scendere alla svelta, nel caso la sua presenza non fosse gradita poteva andarsene all’istante, anche se non sapeva proprio dove.
Lo scricchiolio della scala annunciò la sua discesa e, subito i due smisero di parlare. Il presunto marito della signora era un omone con il volto abbronzato e scavato, semi nascosto da un cappello di paglia bucato. Indossava una camicia lisa tutta sbottonata, i pantaloni erano tenuti su da una corda, ai piedi portava zoccoli di legno intrisi di terra.
Kate sfoderò subito il suo sorriso. Lo sguardo truce dell’omone si trasformò, nel giro di un istante, in raggiante tanto che, persino la donna rimase stupita di quell’istantanea trasfigurazione. “Giovanni”, le disse porgendoli la mano, frettolosamente pulita, con mossa fulminea sulla camicia. Poi, in modo brusco e autoritario comandò alla moglie di apparecchiare la tavola.
Nella stanza piombò un imbarazzante silenzio, unico rumore il pentolone che bolliva sul fuoco. Intervenne nuovamente la signora che, accarezzandole ancora i capelli, la rimise a suo agio; distese sulla tavola una tovaglia non proprio pulita, piena di macchie di vino rosso. Le posate erano alquanto ingiallite ma almeno sembravano pulite. Il padrone di casa si fece premura di versarle del vino che, traboccò dal bicchiere andando a rimpolpare le macchie sulla tovaglia. Con una certa titubanza, avvicinò il bicchiere alla bocca, il colore violaceo intenso e la traccia densa lasciata nel bicchiere già vuoto del suo commensale, a prima vista, non le fecero una buona impressione. “Buono!”, esclamò dopo il primo sorso, il sapore di quel vino non se lo scordò più.
Non fu solo il vino ad allietare la cena ma pure un’ottima zuppa di verdura, una frittata con delle erbe verdi e una terrina piena di pomodori, fagioli e cipolle.
Dopo aver allattato il piccolo, la signora, senza un apparente motivo, glielo rimise tra le braccia. Angelo tutto sorridente, sembrava interagire con lei emettendo dei piccoli suoni e le sue manine si tuffarono nei riccioli biondi per accarezzarli. L’attenzione del frugoletto si focalizzò sulla fascia rossa che portava in testa; visto che tra loro due ormai c’era intimità, Kate pensò di togliersela e mettergliela in mano; iniziò a giocarci emettendo dei versi gioiosi. Intonò una famosa ninna nanna del suo paese; Angelo, in men che non si dica, si addormentò tenendo stretta la fascia tanto che, preferì non toglierla per evitare di svegliarlo.
La stanchezza di quella giornata particolarmente intensa cominciava a farsi sentire, fece cenno ai padroni di casa che sarebbe salita in camera. Ormai era un tutt’uno con il piccolo per cui, la signora lasciò che se lo portasse su in camera per metterlo a letto.
Continuò ad accarezzare delicatamente la testina di Angelo mentre dormiva beatamente su un fianco, chissà se un giorno anche lei avrebbe avuto un figlio, per il momento, visto quello che le era successo, la considerava un’ipotesi molto remota.
Malgrado la stanchezza non riuscì a prendere sonno, dava la colpa a quel rude materasso di paglia al quale non era abituata, decise di starsene un po’ alla finestra.
I campi di mais che scorgeva in lontananza, come vastità, non erano minimamente paragonabili a quelli del Vermont. I suoni e i profumi della campagna mescolati con la leggera brezza che entrava contribuirono a rilassarla. Stette lì sulla finestra a osservare il vigneto illuminato quasi a giorno dalla luna piena, si capiva che l’estate stava volgendo al termine dalla sottile nebbiolina che lambiva la terra; segno che il fresco della notte stava prendendo il sopravvento sul caldo giorno. Questo, di solito, la rattristava, non sopportava il fatto che le giornate si accorciassero, segno dell’imminente irrompere della brutta stagione.
Questa volta però era diverso; quella fine d’estate segnava l’inizio di una nuova vita. Una volta suo padre le parlò dei palloni aerostatici, le spiegò che, per potersi alzare in volo, dovevano liberarsi della zavorra, era quello che doveva fare anche lei, gettarsi alle spalle tutta la zavorra del passato per potersi librare libera verso nuove mete.
Si voltò a dare un’occhiata ad Angelo, quel bambino aveva aperto una breccia nel suo cuore. Si chiese come sarebbe cresciuto in quella casa con due genitori non più giovani; con un padre così burbero e una madre che pareva essere alquanto depressa, non avrebbe avuto vita facile. Iniziò a fantasticare sulla possibilità di strapparlo a quella vita mediocre alla quale probabilmente era destinato. Avrebbe voluto portarlo con sé, loro due da soli in giro per il mondo. Era fortemente convinta che con lei, anche se non poteva garantirgli delle certezze, compresa quella di mangiare una volta al giorno, sarebbe cresciuto meglio. Sentiva che avrebbe potuto dargli tanto amore e trasmettergli la passione per la musica. Con lei, ancora giovane e piena di energie, avrebbe senz’altro avuto un’infanzia divertente e stimolante.
All’improvviso, come se le avesse letto nel pensiero, Angelo si svegliò e iniziò a emettere dei piccoli lamenti, senza pensarci tanto su, lo prese in braccio e se lo portò a letto. Non appena furono distesi, il piccolo si quietò, il musetto si intrufolò istintivamente nella scollatura della camicetta per cercare il seno. Kate lasciò che facesse, sentire la bocca di Angelo che cercava il capezzolo le fece provare un immenso piacere forse, ma non ne era certa, visto che non l’aveva mai sperimentato, quasi un orgasmo. Che assurdità, un neonato, il primo uomo che le stava dando amore.
Al mattino presto scese piano con Angelo stretto tra le braccia. Il piccolo aveva bisogno di una poppata vera, di quelle che solo una madre sa dare. La signora, premurosa, le aveva già preparato una scodella di caffelatte e del pane biscottato, e insieme rimasero in silenzio. Kate era oppressa dal senso di colpa, l’aver pensato di strappare Angelo all’amore di quella madre le pesava nel cuore come una pietra.
La signora, con un gesto delicato, le accarezzò il volto. Non c’era bisogno di parole: il dolore della separazione imminente era palpabile nell’aria, come se la casa stessa trattenesse il respiro. Kate poteva leggere nei loro occhi un muto rimprovero, come se lei e Angelo le chiedessero silenziosamente di non lasciarli lì, soli, in quella dimora umile e spoglia. Cercò di parlare, ma le parole le si fermarono in gola; tutto ciò che riuscì a fare fu abbozzare un sorriso, fragile come un raggio di sole al mattino presto.
Si abbracciarono sotto la pergola che conduceva al vialetto, un intreccio di foglie e ombre che sembrava voler trattenere quel momento, allungarlo in eterno. In camera, aveva lasciato la fascia rossa e il libro che aveva portato con sé di nascosto dall’America. A lei ormai non le serviva più.
Chissà, forse un giorno Angelo avrebbe aperto quelle pagine, e trovato il coraggio di viaggiare, di esplorare il mondo. Con quella speranza, gli scrisse una dedica, poche parole, ma cariche d’amore.
Prima di partire, lo prese di nuovo tra le braccia, stringendolo a sé, come a voler imprigionare l’ultimo ricordo di quel legame. La signora la osservava, ma i suoi occhi erano altrove, persi in un’assenza che rendeva tutto ancora più doloroso. In quel momento, Kate sentì come se fossero tutti e tre ai piedi di un treno, il treno della libertà. Ma per ora, su quel treno, sarebbe salita solo lei.
A ripensarci bene, non erano le pressioni di Ronald che l’avevano convinta a incidere quel disco, aveva sempre deciso da sola ogni aspetto della sua vita; era semplicemente arrivato il momento che tutti conoscessero “Angelo”, la canzone scritta da una giovane donna in fuga in un caldo giorno di agosto del 1966.
Continua …
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