I sessanta de EnsoPenso

Nella vita, si sa, è importante lasciare traccia di sé. Quella che finora ha lasciato il mio amico Enzo Penzo detto anche EnsoPenso, da un punto di vista olfattivo è senza dubbio ben tangibile.

Quando urla “bianca!”, anche se rispondi “tientea!”, la molla lo stesso; per cui, tanto vale dargli soddisfazione e gridare “vegna!”. Le sue performance vengono addirittura classificate con dei nomi, queste le più celebri:

  • Liquigas: emette scoppiettii a intermittenza dà l’impressione che se la stia facendo addosso
  • Marghera: la più puzzolente; prima o poi chiamo l’ufficio d’igiene e gli faccio sequestrare il culo
  • Marghera estate: versione estiva della precedente con aggiunta di tanfo di pesci morti e alghe imputridite
  • Contadina: dall’inconfondibile puzza di letame
  • Timer: la più subdola, quella a scoppio ritardato, senti il tanfo quando ormai se ne è andato

Recentemente si è aggiunta la Pandemica; ha la particolarità di essere contagiosa, se ne molla una, ti metti a scoreggiare pure tu. 

Nel minuscolo studio di SolaRadio, quando mollava qualcuna delle sue bianche si impregnavano anche i vestiti; per cui, spesso si era costretti a tenere aperte le finestre anche in pieno inverno.

Di tutto questo, Ensopenso dava la colpa alla cucina di sua madre, ea siora Marcea. La spiegazione sarebbe stata plausibile se, una volta sposato, avesse smesso con le performance ma, inesorabilmente ha continuato con più vigore e intensità.

C’è poi un’altra cosa, ancora più imbarazzante, per cui viene ricordato. È dal 1976, ovvero da quando uscì il singolo di Donna Summer “Could it be magic” che l’uomo continua a deliziarci con i racconti dei suoi sogni erotici, le cui sceneggiature sono degne dei più famosi maestri del porno. Ciò nonostante, si sia trovato una morosa e se la sia pure sposata.

Ho ragione di credere che si dedichi ancora ad una certa attività, tipico effetto collaterale del maldemona o, per usare termini più tecnici, sexual addiction. Mi chiederete come si fa a provarlo visto che certe cose non fanno né rumore, né tantomeno puzza.

Quando ho fatto la naja, ricordo che il mio istruttore, tale caporal maggiore Ilario Mezzella, aveva un metodo ben preciso. Alla mattina, durante l’inquadramento, oltre a metterci ben in riga, ci faceva tenere i palmi delle mani rivolti verso l’alto; poi, li passava in rassegna. “Pusineri Giandomenico, lei in branda si è fatto una sega, si vergogni!” Il Mez sembrava averla intivata in quanto, il soggetto incriminato, diventava rosso in viso e abbassava lo sguardo. 

A parte il metodo Mezzella, nel quale, francamente, non credo molto; non conosco sistemi efficaci per verificare se uno gioca cinque contro uno. Se non hai l’esplicita confessione dell’interessato, ti devi basare sulla presunzione di reato. Nel caso di Ensopenso, tutto il suo vissuto e i suoi racconti fanno pensare, oltre ogni ragionevole dubbio, che si dedichi ancora alla pratica della mano amica.

Uno degli elementi probatori, è il suo fischiettare Stasera Che Sera dei Matia Bazar, quando, per strada, incontriamo una in curto, così EnsoPenso, definisce la donna con la minigonna. Non ci sarebbe niente di male se il mio amico si riferisse alla versione originale del brano. Quella che invece ha nella testa è la famosa cover ideata da Deni Sgorlon; Stasera Che Sega.

Abbiamo iniziato a fare radio da quando eravamo ragazzini delle medie. Ufficialmente dichiaravamo ai nostri ascoltatori e soprattutto a noi stessi che stavamo dietro a un microfono per una non ben identificata nobile causa. Non avevamo il coraggio di ammettere che SolaRadio era fondamentalmente uno mezzo per soddisfare il nostro bisogno di approvazione e cuccare. EnsoPenso era uno di quelli che aveva le più alte aspettative riguardo quest’ultimo scopo non dichiarato; usava il microfono per butar sardoni a manego

Uno del genere, dopo quaranta e passa anni, te lo immagineresti procreatore seriale; al quale, il giorno del suo funerale, non basterebbe un’epigrafe formato poster per elencare le sue ex compagne e i figli più o meno riconosciuti, sparsi per il mondo. Quello che invece è riuscito a diventare è nulla di più che un tranquillo impiegato comunale, sposato da quasi trent’anni, ai quali ne vanno aggiunti dieci di fidanzamento, con tale Paola Zancanaro; zero figli e, apparentemente, zero ciavae de fora via. D’altronde è lui stesso che si confessa “mejo tegnirseo in man piuttosto che el vaga fora a far qualche malan”; il riferimento è alle molteplici donne lasciate incinta da Riccardo Cazzador.

Lo stronzissimo Riki Cassador, storico denigratore di SolaRadio, è il suo rivale da una vita; ma anche, quello che segretamente avrebbe voluto imitare. L’epigrafe del Cassador non è stata affissa, in quanto, fortunatamente per lui, nonostante sia sulla soglia della sessantina, è ancora vivo e sessualmente operativo. La certezza di quest’ultima informazione, si basa sulla costante e scrupolosa osservazione dei tratti comportamentali, da parte di un team di esperti, capitanati da Denis Sgorlon. In poche parole, è già da parecchi mesi che dal suo SUV a nafta di quarta mano, scende una bionda milfona slava, definizione NaneSbèreghiana per le donne dell’est Europa; questo è sufficiente per affermare con sicurezza che el Cassador continua a darci dentro. 

Il geometra Enzo Penzo, architetto mancato, (non sono mai riuscito a capire se gli mancano tre esami o, ha dato solo tre esami), passa le sue giornate principalmente a esaminare faldoni strapieni di condoni edilizi e collezionare vinili degli anni ’70 e ’80. Il tempo che gli rimane lo condivide tra Paola e me. Non ho idea di cosa parli con Paola; ma, con me, l’argomento principale riguarda ea mona; seguono, in ordine, la paura della malattia e i rimpianti dei bei tempi andati. 

Forse perché siamo dei radiofonici della prima ora, le nostre discussioni prendono quasi sempre spunto da una canzone, l’altro giorno è stata la volta di “mille giorni di te e di me” di Baglioni. Il povero cantautore è finito sotto processo in quanto, secondo lui, era troppo comodo mollare una con cui stai insieme da una vita, semplicemente componendo per lei una canzone. Mah, sai che novità, gli cito “se telefonando”, lui ribatte che si tratta di ben altra cosa, il testo parla chiaro “il nostro amore appena nato è già finito”, in quel caso il benservito è stato dato all’inizio del rapporto, non dopo un tot di anni. Quasi sicuramente, siamo stati i primi a discutere di giurisprudenza canora.

Comunque, per il povero Baglioni non era finita, EnsoPenso lo attacca sul fronte dei concerti, “alla fine spendi quasi cento euro per vedere un omino piccolo che strimpella circondato da una trentina di gnocche e osannato da migliaia di gnocche, per tornare a casa con i timpani fracassati e per giunta depresso per non essere riuscito a portarti a casa nemmeno una di quelle gnocche”; poi, in dialetto, spara la più classica delle sue.

Ogni volta che me volto indrio me par de non aver combinà un casso” e aggiunge “el tempo passa, fra un fià me vantarà ‘na maeattia”, conclude “me tocarà sugarmea senza aver avuo gnanca ‘na sodisfasion; ghesboro!”. Facile immaginare di cosa stia parlando.

Dovrebbe essere assunto nella mia azienda, sarebbe un perfetto coach di performance management. Se gli chiedi, riguardo il lavoro, qual è il suo obiettivo, ti risponde, “rivar al vintisette sensa rotture de cojoni”; praticamente un motivatore nato. 

Con uno così, non è facile ragionare sul futuro.

I saggi, ti dicono che nella vita è indispensabile avere sempre qualcosa in cui credere, se con EnsoPenso la metto sul piano religioso ti dice che è roba per vecchi e sfigati, tutta gente che ha bisogno di credere che, dopo una vita di merda, non sarà tutto finito.

Altri saggi ti dicono che, nella vita è indispensabile avere sempre un’alternativa, un piano B; EnsoPenso ti dice che lui non ha mai avuto nemmeno un piano A.

Altri saggi ancora ti dicono che, nella vita è indispensabile credere in sé stessi; EnsoPenso ti dice che non serve a niente se poi non c’è nessuno che crede in te.

Io che non sono un saggio, una volta gli ho detto che dovrebbe fare a meno di pensare costantemente a quella cosa lì; mi ha risposto di star zitto, visto che non ho mai patito la fame di quella cosa lì.

Non sapendo più a che santo votarmi per tirarlo in qua, anche perché diciamolo, lui ai santi non ci crede; ho pensato di rivolgermi allo spirito di Guglielmo Marconi.

Oggi è il suo sessantesimo compleanno, fortuna che è domenica, altrimenti sarebbe andato a lavorare come se fosse un giorno qualsiasi. Come una domenica qualsiasi tra le 8.00 e le 8.30, varca la soglia della Cesarina, sceglie quell’ora perché, usualmente la pasticceria è frequentata da un gruppetto di cocche che si ritrovano per andare a correre, gli serve per farsi l’occhio e tirarsi su il morale; dopo, rischia di trovare le vecchie che escono da messa e questo lo manda in depressione. Questa mattina, su suggerimento del Marconi, ho fatto in modo di “passare per caso” dalla Cesarina, ho anche fatto finta di dimenticarmi del suo compleanno. Niente cocche, era solo, soletto impegnato a rimuovere due patacche di crema dalla felpa; “prima che ea me copa” mi ha detto riferendosi a Paola. In effetti, conoscendola, per una cosa del genere, è capace di ammazzarlo anche nel giorno del suo compleanno.

In effetti non ha la faccia di uno che oggi compie sessant’anni ma, bensì ottantacinque; ha l’espressione di un vecchio smonato che aspetta di essere messo in casa di riposo.

La buonanima di Guglielmo mi ha suggerito di andare a prenderlo e portarlo, anzi a riportarlo a SolaRadio. L’uomo è ormai dalla fine del secolo scorso che non sta seduto davanti a un microfono e non traffica più con mixer, piatti (per dischi) e altri ammennicoli utili a “fare radio” e, secondo il Marconi, una buona dose di radioterapia lo avrebbe guarito, se non dal maldemona, almeno dal mal di vivere. Calma sul termine, intendeva, farlo tornare alle origini in modo che ritrovi quel radiofonico che è in lui, quello che si scatenava ogni volta che mandava in onda cose tipo Shake Your Booty dei KC & the Sunshine Band o The Final Countdown degli Europe; roba che lo mandava in trance e gli faceva dimenticare persino come si chiamava.

Per cui gli ho regalato un viaggio nel passato e, quando gli ho aperto la porta del minuscolo studio della nostra minuscola radio ed ha visto gli altri ebeti suoi ex compagni di ventura ovvero il Tito, Paperoga e il Nafta, gli è venuto un groppo in gola; i suoi occhi son diventati lucidi, non appena è scoppiato l’applauso e una bottiglia di prosecco, nel senso che quel mona del Paperoga l’ha fatta cadere per terra.

Non è mai stato un ragazzo di molte parole; come se gli anni non fossero passati si è diretto deciso verso quella che era la sua confort zone, ovvero lo stanzino dei dischi. Ne è uscito con un vecchio vinile di Cocciante che, probabilmente, giaceva nella stessa posizione da non so quanti anni. Ho notato la mano tremare dall’emozione quando l’ha messo sull’unico piatto ormai rimasto; poi, il dito sul cursore del mixer, e via, in onda …

Non dico che dividerei una montagna
ma andrei a piedi certamente a Bologna
per un amico in piu’, per un amico in piu’

perche’ mi sento molto ricco e molto meno infelice
e vedo anche quando c’e’ poca luce
con un amico in piu’, con il mio amico in piu’.


non farci caso tutto passa hanno tradito anche me
almeno adesso tu sai bene chi e’
piccolo grande aiuto, discreto amico muto
Il lavoro cosa vuoi che sia mai
un giorno bene un giorno male lo sai
dai retta un poco a me, giochiamo a briscola.
non posso certo diventare imbroglione
ma passerei qualche notte in prigione
per un amico in piu’, per un amico in piu’
perche’ mi tiene ancor piu’ caldo di un pullover di lana
a volte e’ meglio di una bella sottana
un caro amico in piu’, un caro amico in piu’.
e se ti sei innamorato di lei, io rinuncia anche subito sai
forse guadagno qualche cosa di piu’ un nuovo amico, tu….

Perche’ un amico se lo svegli di notte, e’ capitato gia’
esce in pigiama e prende anche lo botte e poi te le rida’….
Capelli grigi si qualcuno ne hai
é meglio avremo un po’ piu’ tempo vedrai
divertendoci come non mai ancora insieme, noi.
non dico che dividerei una montagna per un amico in piu’
ma andrei a piedi certamente a Bologna per un amico in piu’…………..
forse guadagno qualche cosa di piu’
un vero amico.

© 1982 Riccardo Cocciante – Mogol

Non abbiamo il dovere di lasciare traccia ovunque andiamo, però abbiamo il dovere di andare ovunque possiamo lasciare una traccia. Eugenio Chiappa

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Tratto dalla raccolta SOLARADIO

© 2024 Michele Camillo

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