
M.M. 55018 e I-BIKI, il primo e l’ultimo, strano modo di iniziare una storia. Pochissime persone sanno cosa significano queste due sigle, al resto della gente, non dicono assolutamente niente, non significano nulla; a volte nemmeno a me e, mi chiedo se non siano solo frutto della mia fantasia.
Mi viene spontaneo, alzando gli occhi al cielo, fare un confronto con le scie che osservavo da ragazzo, la fitta ragnatela di strisce bianche, mi dice che ora, si vola più di una volta. Con lo smartphone, mi diverto a identificare ogni singola scia, per sapere tutto di lei; modello di aereo, origine del volo, destinazione, passeggeri imbarcati, altitudine, velocità e altro; questa applicazione è miracolosa. Se ce l’avessi avuta quella volta, sarebbe stato fantastico ma, mi avrebbe impedito di affinare l’arte di fantasticare e raccontare un sacco di balle.
La Vale, si beveva tutto quello che le raccontavo; citavo modelli di aerei inesistenti e imprese aviatorie mai avvenute ma, soprattutto, baravo sulla mia vita. Mi ero inventato gran parte del mio passato a cominciare dalla mia famiglia, mio padre ufficiale di marina e non contadino; mia madre professoressa di lettere e non casalinga; mio fratello all’ultimo anno di medicina e non carrozziere. Infine, mia sorella indossatrice, a quel tempo non si diceva modella; la sorella, invece, non ce l’avevo proprio. Per la Vale e, solo per la Vale, frequentavo un esclusivo collegio militare anziché un banalissimo liceo scientifico.
Non avevo fatto una gran fatica per attaccar bottone, mi aveva accalappiato lei con la scusa di fare due tiri a tamburello, credo solamente perché era stufa di giocare con la sorellina.
Per la Vale, la moretta con i capelli a caschetto, avevo preso, come diceva zio Bruno, ‘na bruta scopola. Metteva solo costumi rossi; di vario tipo, interi, due pezzi, in due occasioni, me lo ricordo come se fosse ieri, solo uno, ma, tassativamente rossi.
Erano già tre anni che passavo le vacanze al mare a scrocco da zio Bruno e zia Stella, non avevano figli, ed io, mi facevo volentieri adottare, con contratto a tempo determinato, per il solo periodo estivo. Con i miei, non si andava in vacanza, la frase di mio padre era sempre la stessa, “ti occupi tu, della casa, dei campi e dell’orto?”. Anche zio Bruno aveva casa, campi e orto, con la differenza che la loro posizione era esattamente a quattro kilometri e trecentocinquanta metri dal mare, misura verificata con precisione dallo zio. Una distanza, tutto sommato accettabile, anche a farla in sella alla Graziella, con la quale, ti ci volevano dieci pedalate per fare un metro.
Quell’anno, detto “l’anno della Vale”, godevo di massima libertà; mi ero offerto di fare l’aiutante alla Silvana con il noleggio dei mosconi, giusto per racimolare qualche biglietto da mille ed evitare di dare una mano allo zio nei campi, dove, al massimo, rimediavo qualche decina di punture dalle zanzare. Facevo la vita del gatto ovvero, tornavo a casa dagli zii praticamente solo per mangiare e dormire.
Avrei dovuto pensare alle due materie che mi aspettavano a settembre invece, l’unico libro che aprivo era “il pilota moderno”. Facevo il figo con la Vale sciacquandomi la bocca con nozioni sui principali strumenti per la navigazione aerea, lei faceva la faccia stupita, le pareva impossibile che un ragazzo di sedici anni sapesse quasi pilotare un aereo, almeno era quello che mi piaceva pensasse. Mentre parlavo con lei, facevo delle profonde buche sulla sabbia con i piedi; ero nervoso perché, in realtà, invece di parlare solo di aerei, avrei voluto dirle qualcosa di diverso ma, non ne avevo il coraggio.
Al tramonto, dopo che avevo tirato su l’ultimo moscone e messo i lucchetti mi sedevo sopra lo scivolo ad osservare la linea dell’orizzonte che, via, via sparisce, fondendo cielo e mare in un unico fondale rosato, avevo l’illusione che il mondo finisse qualche centinaio di metri dalla battigia. Anche credere che sarei diventato pilota probabilmente era solo un’illusione, me ne rendevo conto ma, impennarmi con la Graziella, fingendo di pilotare un F104 e raccontare alla Vale un sacco di cose, più o meno vere, sul volo, in quel momento, mi rendeva felice.
Alle illusioni, quando stavo seduto sul seggiolino eiettabile del M.M. 289546 dovevo starci attento, specie quando volavo a bassa quota sul mare, mai guardare fuori, occhio solo agli strumenti per mantenere l’assetto livellato. Se guardi l’orizzonte, anche se hai il sole alle spalle, rischi di precipitare in un’illusione che, ti fa precipitare, senza darti il tempo di tirare il cordino nero e giallo che sta in mezzo alle gambe.
Forse anche quello che sto raccontando è semplicemente un’illusione, nulla è esistito ma, come diceva il buon Mark Twain, “non separarti dalle illusioni. Quando se ne saranno andate, può darsi che tu ci sia ancora, ma avrai cessato di vivere”.
Non mi ha mai convinto ‘sta pagliacciata, ma lui, maniaco degli anniversari, aveva deciso così; trovarci al mare, di fronte allo stesso mare, dopo quarantacinque anni esatti. In casa, come capitava con certe missioni particolari, non ho detto dove sarei andato. Decido di non fare l’autostrada ma, la vecchia provinciale alberata; nel tratto finale, non ci sono scorciatoie per arrivare al mare, ti becchi sempre e comunque la coda. Poco male, occasione per soffermarmi a guardare la casa degli zii. Circondata da un intero quartiere di villette a schiera, ormai non si vede quasi più; dovevo comprarla, potevo comprarla, una tra le tante cose che avrei dovuto e potuto fare.
Anche se l’avrò fatto migliaia di volte, ogni volta che arrivo di fronte al mare provo grande stupore e immensa felicità. E’ dentro quell’infinito orizzonte che ho potuto immagazzinare i miei sogni mentre, le onde che si infrangono sulla battigia, mi restituiscono, pian, piano, le illusioni; è guardando le bianche scie nel cielo che mi ricordo chi sono stato o chi dovevo essere. C’è stato un preciso momento, proprio in riva al mare, in cui due vite o meglio, due anime, si sono divise; una ha inseguito un sogno, un progetto mentre l’altra, si è fermata ad aspettare una persona per l’eternità.
Eccolo che arriva, la camicia a fiori rossi di suo fratello due taglie in più e, il costume ereditato dal cugino, una taglia in meno.
Uno così, inetto alla vita militare, ammesso che avesse passato il concorso, non avrebbe resistito nemmeno un’ora in Accademia Aeronautica, i vecchi lo avrebbero massacrato e preso di mira, sarebbe schiattato al primo giro di corsa; alla fine, come tanti, piangendo, sarebbe tornato a casa da mamma e papà.
Uno così, che si illude di essere un allievo pilota, solo perché ha letto qualche pagina, o meglio, guardato le figure di quel noioso manuale di volo, se solo avessi potuto, maledizione, me lo sarei portato al campo e caricato sul Texan; sarebbe bastata un’oretta scarsa per fargli capire cosa significa volare sul serio. Probabilmente sarebbe tornato a terra bianco cadavere e, gli unici aerei che avrebbe avuto il coraggio di toccare, sarebbero stati quelli in scatola di montaggio. Avrei voluto sentire cosa avrebbe raccontato alla Vale il giorno dopo.
Uno così, vale la pena lasciarlo illudersi, fargli cadere il palco su cui recita, sarebbe devastante.
Non capisco come una ragazza carina e brillante, potesse dar credito a uno così; c’è un’unica spiegazione, era veramente innamorata di quell’esemplare da circo.
Lui mi guarda strano, lo vedo diventare triste, mi sembra ansioso. Deve essere rimasto deluso dal mio aspetto; credo non si aspettasse di vedermi malvestito, quasi senza capelli e, con la panza.
“Allora sei diventato pilota?”
“Non te lo dico ma, ti do un consiglio”
“Sarebbe?”
“Va dal moro, comprale un braccialetto, offrigli un gelato e chiedile indirizzo e numero di telefono. Prima di imparare a volare devi saper vivere sulla terra, imbecille!!
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“Pensavo che diventare pilota, volare alto e lontano, sopra gli altri, sarebbe servito a riscattarmi. Ho scoperto invece, che il vero riscatto non è diventare qualcuno ma, sapersi liberare dalle proprie paure, dai condizionamenti, dai giudizi, dagli inutili pesi e dai falsi vincoli, per, alla fine, volare liberi.”
Anonimo
Ho trovato questa scritta su un vecchio hangar dismesso presso la Værløse Air Base in Danimarca.
A tutte le Vale che, guardando le bianche scie in cielo, aspettano pazientemente noi, che scendiamo di nuovo con i piedi per terra.
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Dal libro “Campare in aria – aviatori nell’anima” – © 2022 Michele Camillo
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