Giuseppina e il mare

Fio dei fiori Capitolo 26 – Capitolo precedenteIndice


Come prevedevo, l’ingresso in colonia di Teresa non fu traumatico. In fin dei conti anche lei era una ruspante piccola donna di campagna avvezza ai sacrifici e alle scomodità per cui, non le fu difficile abituarsi. Per noi due, tutto quello che ci circondava era bello e nuovo, a cominciare dal mare.

Scoprii il mare la sera stessa del nostro arrivo.

Alloggiavo al Lido di Venezia, ospite dalle suore. Quel sant’uomo di don Guerino pensò che era meglio stessi vicino a Teresa nei primi giorni di colonia affinché si ambientasse. Telefonò a suor Speranza, la superiora della scuola materna del Lido, nonché sua parente, chiedendole gentilmente di ospitarmi. Il buon parroco conosceva il mio vissuto, intuii che l’aveva fatto anche per darmi la possibilità di starmene per qualche giorno da sola, in santa pace; quella sera ne ebbi la conferma.

Era la prima volta che uscivo da sola per una passeggiata e questo mi eccitava. Iniziai a percorrere, in tutta tranquillità, quel bellissimo viale alberato. Bastava vedere la gente sorridente seduta ai tavolini dei bar per farmi sentire felice. Mi ripromisi che, alla faccia di Ioani, prima di tornare a casa, io e Teresa ci saremo prese un gelato sedute come due vere signore su quei tavolini.

Il lungomare con la grande terrazza affacciata sulla spiaggia, distavano pochi minuti dall’asilo. Un’improvvisa folata di vento mi accarezzò il volto, il mare con il suo infinito orizzonte, mi si parò davanti all’improvviso, restai sbigottita e senza fiato. Il suono delle onde che si infrangevano sulla battigia in un andirivieni placido e misterioso, iniziò a coprire i rumori circostanti.

Timidamente iniziai pian piano a scendere i gradini della grande terrazza, istintivamente mi tolsi le scarpe, la sabbia sotto i piedi mi dava la sensazione di camminare su un materasso. In quel momento non c’era nessuno nei paraggi, mi sentii esploratrice solitaria di una terra nuova, con timore riverenziale mi incamminai verso la riva. Fu il mare che, grazie a un onda più lunga del solito, mi venne per primo incontro, bagnandomi i piedi; per un attimo il riflusso dell’onda sconvolse il mio equilibrio e mi fece girare la testa ma poi, felice di quello che stavo provando, continuai a camminare con i piedi immersi nell’acqua. Mi fermai per sentire lo scorrere veloce dell’acqua fra le gambe mentre defluiva per poi attendere che tornasse nuovamente con vigore, a sommergermi i piedi. Inspirai profondamente con gli occhi socchiusi cercando di immagazzinare nei polmoni quanta più brezza possibile. Non era la stessa che sentivo a casa sui campi; quella del mare riuscivo, stranamente, a sentirla anche nel palato dove mi lasciava un gusto salmastro. Restai per parecchio tempo con lo sguardo calamitato dall’orizzonte, quella linea perfetta che separava due tonalità di azzurro, sembrava mi chiamasse a se verso l’ignoto infinito.

Mi accorsi che il mio povero vestito a fiori, quello buono della festa, era intriso d’acqua, inoltre, non ero più sola. Due ragazzi abbracciati si sbaciucchiavano ridendo; la nostra vicinanza ci fece sentire a disagio per cui, ci distanziammo subito gli uni dagli altri.

Da lontano, continuavo a osservarli di nascosto, vedevo in loro tutto quello che mi ero irrimediabilmente persa. Rabbia e tristezza, come portate dalle onde, mi invasero di colpo. La mia giovinezza, quello che avrebbe dovuto essere il periodo più bello, non sarebbe mai più tornata. L’amore vero, quello tanto desiderato, rimaneva confinato per sempre nei miei sogni.

I due ragazzi, nel frattempo, si stavano allontanando mano nella mano, non li persi di vista. Vidi che lui stava infilando un foglio di carta in una bottiglia che, subito dopo lanciò in mare. Purtroppo questa non fece molta strada, destino volle che le onde, da lì a poco, la sospinsero nuovamente a terra proprio ai miei piedi.

Ormai i due erano spariti e io, presa dalla curiosità, raccolsi la bottiglia. Con non poca difficoltà, aiutandomi con un bastoncino, tirai fuori il biglietto.

Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento

o tende a svanire quando l’altro s’allontana.

Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai.

Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.

Se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto e nessuno ha mai amato.

Ama chi ti ama, non amare chi ti sfugge, ama quel cuore che per te si strugge.

Non t’ama chi di amor ti dice, ma t’ama chi guarda e tace.

 

William Shakespeare

 

8 giugno 1965 Elena e Claudio .. per sempre

I miei studi si erano interrotti alla terza elementare, nonostante questo, mi piaceva molto leggere ma, soprattutto, capivo quello che leggevo.

Battei con forza i piedi sulla sabbia, mi arrabbiai con Dio, lui che fondava tutto l’universo sull’amore, mi aveva negato la possibilità di innamorarmi veramente di un uomo. Perché, solo per un istante mi aveva fatto assaporare un vero bacio e aveva permesso che il mio cuore battesse forte poi, più nulla per l’eternità. Perché vivere perennemente con lo struggente desiderio di un altro uomo e, per questo, sentirmi una peccatrice destinata a perire all’inferno.

Rimisi il foglio nella bottiglia e, con tutte le mie forze, la tirai piangendo in mare.

Ormai quello era l’uomo che avevo accanto, quella era la mia vita, che potevo fare? Inutile era ripetermi che mi sarei meritata una vita diversa. L’amore sarebbe per sempre rimasto dentro le pagine sgualcite dei miei fotoromanzi, sogni, solo e, per sempre, sogni.

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