Paolina tegoina

SolaRadio, una radio da leggere – Capitolo 3 – Indice


C’è poco da fare, sono uno di quelli che, come dice Enzo Jannaci, “guardano la radio”. Vedo nitidamente Paolina davanti al microfono, so esattamente che gesti sta facendo.

Magrissima e minuta, la chiamavamo Paolina Tegoina; in realtà, ciò che più la penalizzava era la sua famiglia.

Viveva in una casa colonica letteralmente ai margini della civiltà, se così si poteva definire il quartiere periferico dove vivevamo. A quei tempi non c’era il progressivo degradare tra città e campagna. Dopo i grigi casermoni popolari, iniziava brutalmente il nulla.

I muri della casa di Paolina, ultimogenita di quattro fratelli, trasudavano miseria così pure l’ambiente circostante: erbacce alte e vecchi oggetti sparsi un po’ ovunque. Gli scuri erano perennemente chiusi, tanto da sembrare disabitata. A tutela dell’isolamento inoltre, vi era Brik, un pulcioso e maleodorante incrocio tra affamati cani randagi. Chiunque tentava di avvicinarsi alla casa dei “Scarsetta”, postino in primis, rischiava grosso.

Facile immaginare che, Paolina, come si direbbe ora, era “out”, a cominciare dall’abbigliamento anteguerra che indossava. Meglio non parlare dei lunghissimi e trasandati capelli; a detta di mia sorella Patty, sua coetanea, lasciati in quello stato perché i suoi non volevano spendere soldi dal parrucchiere.

A me però Paolina piaceva, aveva un qualcosa d’interessante. Ovviamente non ne facevo parola con nessuno, a cominciare dagli amici, mi avrebbero preso per il culo a vita.

Già allora, per me, tette e culo, non erano i parametri di valutazione di una donna. I nostri sguardi si erano spesso incrociati, strano per lei che solitamente camminava a testa bassa. Spesso ci soffermavamo per alcuni istanti, in silenzio, a scambiarci occhiate. Credo di essere stato l’unico a notare i suoi bellissimi occhi verdi; mi piacevano pure quei capelli trasandati, le davano un’aria da figlia dei fiori.

Ero fermamente convinto che era una tipa, come si dice in dialetto, cavada fora dal soito e, sempre per dirla come dalle nostre parti, dovevo trovare il modo per tirarla in qua.

L’occasione si presentò quando “l’occasione”, mi lasciò per l’ennesima volta appiedato. “L’occasione”, non era altro che un vecchio CIAO usato. Un volpone lo aveva venduto a quel pollo di mio padre, tanto abile come venditore con i suoi clienti, quanto maestro nel farsi fregare dal prossimo in qualità di acquirente.

Chi ha provato a usare il CIAO solo con i pedali sa che non c’è via di scampo nel caso un cane stia prendendo la rincorsa per assalirti. Me la stavo già facendo sotto le braghe quando, dalla casa dei “Scarsetta”, Brik prese la rincorsa per farmi la festa; fortunatamente si limitò ad abbaiare come un forsennato, rimanendo nei confini della proprietà, quasi avesse una catena virtuale al collo. Notai Paolina sotto il grande albero posto all’inizio del viottolo che portava alla casa, sembrava proprio che stesse ballando. Il feroce Brik stava facendo un casino del demonio, ciò nonostante si sentiva distintamente la musica uscire da una radio appoggiata ai piedi dell’albero. Divertito più che mai, stetti alcuni minuti a osservare la scena, notai che, ogni tanto, Paolina armeggiava nervosamente con la manopola della sintonia, spostandosi in continuazione da una stazione a un’altra.

“Ascolta SolaRadio!”, urlai ad alta voce, cercando di sovrastare cane e radio. Paolina presa alla sprovvista si voltò di scatto verso di me colpendo con il piede la radio che finì due metri più in là.

“Cosa fai qui?”, disse con il fiatone, mentre una fiammata le arrossò il viso. “Giro alla ricerca di nuovi ascoltatori”, risposi con un sorrisetto ebete, “però se tutti fanno come te che rimani su una stazione per solo tre secondi, stiamo freschi”, aggiunsi.

“Giro per cercare le canzoni che mi piacciono”. Anche quella volta, mi guardò dritto negli occhi. Quel vento salmastro che trasportava l’aroma della laguna, sembrava ,avesse d’improvviso aperto una breccia in quella impenetrabile ragazza.

“Ma voi in radio quanti dischi avete?”, si stava abbassando il ponte levatoio della sua fortezza, non potevo farmi sfuggire questa occasione.

“Vieni a dare un’occhiata, sto giusto andando in radio”, ovviamente non era vero. Mancava poco a fine anno scolastico, l’indomani mi avrebbe aspettato il Benedetti per rivoltarmi come un calzino e io, non avevo ancora passato nemmeno un millisecondo sul libro ma, il gioco valeva la candela. Seppi solo in seguito quello che le era costato l’avermi seguito d’istinto in sella alla sua Graziella, un processo in piena regola da parte della sua famiglia.

A quell’ora in radio non c’era nessuno, solo il mitico REVOX B77 che, grazie alla sua infinita bobina, copriva l’assenza di uno speaker.

Le sue mani sfioravano delicatamente la moltitudine di dischi disposti disordinatamente sugli scaffali, restò così in religioso silenzio per alcuni minuti, Pareva stesse in contemplazione, per cui, cercai di non disturbarla, a un certo punto, impaziente com’ero, non mi tenni più, “qui c’è bisogno anche di te”, sparai il colpo che avevo in canna.

Fece un sobbalzo simile a quando, poco prima, l’avevo interrotta mentre fantasticava sotto l’albero.

“Sì, .. per togliere le due dita di polvere da questo mixer”, rispose prontamente. “Se sai che quello è un mixer sei già una DJ”, la provocai.

“Ma dai, io non sono come voi, non mi piace farmi vedere”

“Si però è quello che sognavi sotto l’albero”. Non so come mi sia venuta quella frase; però fu quella che tra me e Paolina aprì, per dirla in termini radiofonici, un canale di comunicazione anzi, oserei dire, un fiume in piena.

Era fine agosto 1982, una sera mi capitò tra le mani Strada Facendo di Baglioni, lo mandai in onda pensando subito a lei, quasi urlai al microfono: “Paolina, qui in radio c’è il tuo gancio in mezzo al cielo, ti aspettiamo!”

Quella canzone divenne la sua preferita, non c’era da stupirsi, anche lei come tanti aveva, “una fame di sorrisi e braccia intorno a se”.

Interminabili ore seduti sull’argine in riva alla laguna, spese per fargli capire che farse vedar, come diciamo in dialetto, non era un peccato ma, a volte, una necessità. L’ho presa per mano, perché dentro di lei c’era un sogno, una passione, emergere dagli altri, staccarsi dalla routine quotidiana e spiccare il volo era un suo diritto. Per me un dovere aiutarla.

Paolina, la prima voce femminile di SolaRadio, la mia più grande amica, ce la rubarono dopo pochi mesi, era inevitabile.

Ora è una stellina che continua a brillare nel firmamento delle radio, non vi dico dove. Girate nervosamente, come faceva lei, la manopola della sintonia fino a quando non trovate la musica che vi emoziona; e non vergognatevi se vi viene da ballare.

Non so se è soltanto fantasia
o se è solo una follia.
Quella stella lontana laggiù
però, io la seguo e anche se so
che non la raggiungerò
potrò dire ci sono anch’io.

Non è stato facile perchè
nessun’ altro a parte me
ha creduto però ora so
che tu vedi quel che vedo io
il tuo mondo è come il mio
e hai guardato nell’uomo che sono e sarò

Ti potranno dire che non può esistere
niente che non si tocca o si conta o si compra perchè
chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te.

I’m Still Here – John Rzeznik

Ci sono anch’io – Max Pezzali

hm

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