Fio dei fiori Capitolo 23 – Capitolo precedente – Indice
L’abbaiare minaccioso di un cane che da un viottolo laterale stava velocemente venendole incontro la fece trasalire; se l’avesse azzannata, sarebbe stata la misera fine del suo viaggio appena iniziato. Rimase immobile cercando di non dimostrarsi ostile, alla mal parata avrebbe potuto colpirlo con la chitarra. No, era l’unica cosa preziosa che le restava, avrebbe piuttosto preferito morire sbranata, lasciando intatta la chitarra, con la quale avrebbe voluto essere seppellita.
Il cane, continuando ad abbaiare a squarciagola, fortunatamente, si fermò al limite del viottolo; probabilmente voleva solo impedirgli di varcare il confine del territorio assegnatoli a guardia. Kate tirò un sospiro di sollievo mentre si accorse che le gambe stavano tremando ed era tutta un bagno di sudore. Nonostante l’aspetto trasandato che lo faceva sembrare feroce, aveva uno sguardo dolce, smise di abbaiare e la fissò con gli occhioni languidi, quasi volesse scusarsi per avere esagerato con la scenata intimidatoria messa in atto poc’anzi.
Una donna con un bambino in braccio, richiamò il cane. Kate continuava a starsene ferma immobile mentre la donna, mettendosi una mano sulla fronte per eliminare il riflesso del sole ormai al tramonto, stava cercando di capire chi fosse quella figura all’altra estremità del viottolo. “Acqua”, fu la prima parola che riuscì a pronunciare, in effetti, aveva una sete terribile dovuta allo spavento.
Con un gesto della mano, la signora, che indossava una specie di camicione a fiori alquanto consunto, le fece cenno di seguirla. Il cane, scodinzolando, pian piano le si avvicinò per annusarla, il dubbio che non lo lavassero risultò fondato in quanto emanava un odore nauseabondo, questo, la fece desistere dal proposito di accarezzarlo, giunto sull’uscio di casa si accovacciò vicino alla porta, probabilmente non gli era permesso di entrare.
Non appena riuscì a scorgerla bene in volto, Kate ebbe la sensazione che la donna fosse felicissima di quell’inaspettata visita, come se fossero anni che non vedeva nessuno. Si presentarono ma, nessuna delle due capì i rispettivi nomi.
Nella grande cucina dove entrarono, c’era una stufa alimentata a legna con la pentola sul fuoco. Il profumino era invitante e, oltre alla sete, le prese un certo appetito.
La signora posò il bambino su di un fasciatoio improvvisato sopra il tavolo della cucina e insistette per farla sedere. Si trovò faccia a faccia con il piccoletto, che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere nato da poco. Questo si accorse immediatamente della sua presenza, cercò subito un contatto tendendole le braccia. Era la prima volta che toccava un bambino così piccolo, la manina stringeva forte il suo dito mignolo, non aveva nessuna intenzione di mollare la presa. Kate realizzò che gli stava parlando nella sua lingua ma, aveva l’impressione che capisse lo stesso, le parole e i gesti di affetto sono universali.
Non appena staccò le mani per bere l’acqua, subito il piccolo iniziò a piangere. A quel punto, incoraggiata dalla mamma, non le restò altro che prenderlo in braccio. Le prese per un attimo il panico, aveva paura di fargli male, non sapeva proprio come tenerlo; durò solo un istante, quasi per istinto le venne naturale trovare il modo per coccolarselo.
Non le fu per niente facile iniziare a spiegare come mai si era trovata a passare di li; le sembrava che quella donna non parlasse italiano, ma una specie di slang locale. Però, forse telepatia o semplice solidarietà fra donne, Kate ebbe la netta sensazione che comprendesse comunque quello che diceva tanto che, a un certo punto, la signora le accarezzo la testa passandole delicatamente la mano tra i riccioli.
Considerando la complicità che si era instaurata fra loro due, non si stupì più di tanto quando, sbiascicando qualcosa in un italiano più stentato del suo, le offrì di fermarsi per la notte.
Appena acconsentì, a quella donna col vestito a fiori, brillarono gli occhi; intuì che doveva sentirsi sola e, la possibilità che una persona, seppur straniera, si fermasse a farle compagnia, la riempiva di gioia. L’euforia della signora era alle stelle, trascinò Kate su per le scale, la seguì con il piccolo in braccio fin dentro una stanza con il pavimento in legno che scricchiolava tutto. Le indicò un lettino e disse “Angelo” poi, un letto più grande e disse “Kate”. Le venne in mente in quel momento che non aveva chiesto il nome del bambino, si sentiva una maleducata per cui, cercò di rimediare ripetendo come un mantra il suo nome mentre se lo coccolava. Notò l’angioletto di gesso che teneva in mano una piccola lampadina appeso sopra il lettino; “come lui”, disse alla mamma per avere conferma sul significato del nome che portava.
Angelo, nel frattempo, gli si addormentò in braccio, d’istinto lo baciò e lo mise delicatamente nel lettino, il piccolo fece una leggera smorfia come si fosse accorto di non essere più avvinghiato a lei. In quel mentre si accorse che la signora stava in malo modo cercando di asciugare le lacrime che le scendevano dagli occhi. Per non farsi vedere da lei si voltò velocemente verso un comò per tirare fuori le lenzuola poi, sempre di spalle, distese il materasso che era ripiegato su se stesso e dal quale uscivano dei filetti di paglia.
Ora che il letto era ben che fatto, c’era un grosso problema da risolvere, aveva urgentemente bisogno di un bagno; sbirciando in giro non aveva visto niente. Doveva in qualche modo farsi capire per cui, si mise le mani sulla pancia facendo contemporaneamente la faccia sofferente. La signora iniziò subito a ridere, aveva capito al volo, bene così perché, nel frattempo era giunta al limite del contenimento. Altro cenno di seguirla e, si trovarono nel cortile sul retro della casa, qui le indicò un casotto in legno. Chiusa la porta pensò che non c’era tempo per schizzinoserie varie e fece quello che doveva fare. In dotazione vi erano un secchio pieno d’acqua e dei ritagli di giornale, sorrise e pensò che quella poteva considerarsi un’esperienza da vera viaggiatrice.
Recuperò la chitarra e il pesante zaino che erano ancora in cucina e li portò in camera. Con sua sorpresa, la signora nel frattempo le aveva fatto trovare una bacinella con dell’acqua calda, un asciugamano e del sapone; cose essenziali che apprezzò molto; erano sufficienti per darsi una sistemata dopo quel primo giorno di viaggio. Ogni tanto dava un occhiata premurosa a Angelo, ironizzava sul fatto che, pur nato da poco tempo, si trovava già una ragazza nuda in camera; gli augurò di non diventare un maiale come la maggior parte degli uomini.
Mentre si stava lavando, udii la voce di un uomo provenire da sotto, probabilmente si trattava del marito della signora. Sentiva chiaramente che stavano discutendo a alta voce, udiva la donna tentare di replicare ma, la voce di lui subito la sovrastava. Affrettò le operazioni di toelettatura, ebbe la sensazione che l’oggetto di quella discussione accesa fosse proprio lei. Era meglio scendere alla svelta, nel caso la sua presenza non fosse gradita poteva andarsene all’istante, anche se non sapeva proprio dove.
Lo scricchiolio della scala annunciò la sua discesa e, subito i due smisero di parlare. Il presunto marito della signora con il vestito a fiori, era un omone con il volto abbronzato e scavato, semi nascosto da un cappello di paglia bucato. Indossava una camicia lisa tutta sbottonata, pantaloni tenuti su con una specie di corda e, ai piedi, zoccoli di legno intrisi di terra.
Kate sfoderò subito il suo sorriso così che lo sguardo truce dell’omone si trasformò, nel giro di un istante, in raggiante tanto che, persino la donna rimase stupita di quell’istantanea trasfigurazione. “Giovanni”, le disse porgendoli la mano, frettolosamente pulita, con mossa fulminea, sulla camicia poi, in modo brusco e autoritario comandò alla moglie di apparecchiare la tavola.
Nella stanza piombò un imbarazzante silenzio, unico rumore il pentolone che bolliva sul fuoco. Intervenne nuovamente la signora che, accarezzandole ancora i capelli, la rimise a suo agio; distese sulla tavola una tovaglia non proprio pulita, piena di macchie di vino rosso. Le posate, erano alquanto ingiallite ma almeno sembravano pulite. Il padrone di casa si fece premura di versarle del vino che, traboccò dal bicchiere andando a rimpolpare le macchie sulla tovaglia. Con una certa titubanza, avvicinò il bicchiere alla bocca, il colore violaceo intenso e la traccia densa lasciata nel bicchiere già vuoto del suo commensale, a prima vista, non le fecero una buona impressione. “Buono!”, esclamò dopo il primo sorso, quel vino non se lo scordò più.
Fu grazie a quel bicchiere che nacque in lei l’altra sua grande passione oltre la musica, il vino. Nonostante ora abbia una delle cantine più fornite degli Stati Uniti, del vino bevuto quella sera non trovò più traccia; le rimase solo il nome sbiascicato dall’omone: crinto. Ironia della sorte, più tardi ebbe modo di scoprire che l’uva dalla quale si ricavava, veniva dall’America ovvero dalla città di Clinton, importato nell’800 in quanto resistente a dei particolari parassiti. Comunque, non fu solo il vino ad allietare la cena ma pure un’ottima zuppa di verdura, una frittata con delle erbe verdi e una terrina piena di pomodori, fagioli e cipolle.
Dopo aver allattato il piccolo, la signora, senza un apparente motivo, glielo rimise tra le braccia; il piccoletto subito cominciò ad agitarsi e a piangere. A Kate dava fastidio non saper gestire la situazione, il padre, se la rideva osservando i suoi goffi tentativi di calmare il figlioletto. Anche in questo caso la sua arma segreta, il sorriso, contribuì a sistemare tutto. Istintivamente lo sollevò per i fianchi e se lo portò a contatto con il viso, spalancò gli occhi verde smeraldo facendoli degli ampi sorrisi. Gli cantò una filastrocca che usava sua mamma per tranquillizzarla quando era agitata, funzionò alla grande. Angelo ora, tutto sorridente, sembrava interagire con lei emettendo dei piccoli suoni; le sue manine si tuffarono nei riccioli biondi per accarezzarli. L’attenzione del frugoletto si focalizzò sulla fascia rossa che portava in testa; visto che tra loro due ormai c’era intimità, Kate pensò di togliersela e mettergliela in mano; iniziò a giocarci emettendo dei versi gioiosi. Intonò una famosa ninna nanna del suo paese; Angelo, in men che non si dica, si addormentò tenendo stretta la fascia tanto che, preferì non toglierla per evitare di svegliarlo.
La stanchezza di quella giornata particolarmente intensa cominciava a farsi sentire, fece cenno ai padroni di casa che sarebbe salita in camera. Ormai era un tutt’uno con il piccolo Angelo per cui, la signora lasciò che se lo portasse su in camera per metterlo a letto.
Continuò ad accarezzare delicatamente la testina di Angelo mentre dormiva beatamente su un fianco, chissà se un giorno anche lei avrebbe avuto un figlio, per il momento, visto quello che le era successo, la considerava un ipotesi molto lontana.
Malgrado la stanchezza non riuscì a prendere sonno, dava la colpa al quel rude materasso di paglia al quale non era abituata, decise di starsene un po’ alla finestra. I campi di mais che scorgeva in lontananza, come vastità, non erano minimamente paragonabili a quelli del Vermont.
Quella vista, fece riaffiorare di colpo la sua infanzia. Il nonno aveva la passione per l’avventura e i relativi libri che, puntualmente, gli passava. Ispirandosi a uno di questi, il famoso “Journal of a trapper” di Osborne Russel fondò una banda di giovani trapper di cui era l’unico membro femminile. A St. Albans, quei piccoli esploratori scatenati avevano tutto quello che volevano. Non mancava nulla: lago, praterie, boschi e il confine con il Canada, un vero posto di frontiera del selvaggio Nord. Il nonno dava man forte quando c’era bisogno di costruire zattere, capanne e quanto altro necessitasse ai mini trappers; si buttava a capofitto unendo l’esperienza dell’anziano con l’entusiasmo del bambino. Rispondeva ai continui richiami della nonna, che lo ammonivano a occuparsi delle cose “da grandi” come le faccende in fattoria, dicendo che si stava occupando di Kate, questo mentre voltato verso di lei le faceva l’occhiolino. In effetti, in quegli anni, erano i nonni a occuparsi di lei, suo padre, in aviazione, preferiva che stesse a casa con loro anziché trascinare lei e sua madre in giro per le varie basi aeree, inoltre, sua madre aveva la fortuna di un lavoro stabile presso gli uffici della contea.
Pensare che in quel periodo andava fiera di suo padre, ufficiale pilota dell’U.S.A.F. , ne aveva creato un personaggio che, indirettamente, serviva a procurarsi il rispetto degli altri ragazzini della banda, spesso calamitava la loro attenzione narrando le avventure aviatorie dell’allora tenente Fairfield molte delle quali, frutto della sua fantasia. Si divertiva a raccontare storie, ambientate in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale dove, gli abbattimenti di caccia tedeschi a opera del suo poderoso P51 Mustang pilotato da suo padre, erano all’ordine del giorno. In realtà, per sua fortuna il giovane tenentino Fairfield giunse in Inghilterra troppo tardi per ricevere il battesimo del fuoco. Nonostante questo tornò a casa con una preda, ovvero la signorina Elizabeth Murray, sua madre, a quel tempo ausiliaria nelle truppe di sua maestà.
I suoni e i profumi della campagna mescolati con la leggera brezza che entrava contribuirono a rilassarla. Stette li sulla finestra a osservare il vigneto illuminato quasi a giorno dalla luna piena, si capiva che l’estate stava volgendo al termine dalla sottile nebbiolina che lambiva la terra; segno che il fresco della notte stava prendendo il sopravvento sul caldo giorno. Questo, di solito, la rattristava, non sopportava il fatto che le giornate si accorciassero, segno dell’imminente irrompere della brutta stagione. Questa volta però era diverso; quella fine d’estate segnava l’inizio di una nuova vita. Una volta suo padre le parlò dei palloni aerostatici, le spiegò che, per potersi alzare in volo, dovevano liberarsi della zavorra, era quello che doveva fare anche lei, gettarsi alle spalle tutta la zavorra del passato per potersi librare libera verso nuove mete.
Si voltò a dare un’occhiata a Angelo, quel bambino aveva aperto una breccia nel suo cuore. Si chiese come sarebbe cresciuto in quella casa con due genitori non più giovani; con un padre così burbero e una madre che pareva essere alquanto depressa, non avrebbe avuto vita facile. Iniziò a fantasticare sulla possibilità di strapparlo a quella vita mediocre alla quale probabilmente era destinato, avrebbe voluto portarlo con se, loro due da soli in giro per il mondo. Era fortemente convinta che con lei, anche se non poteva garantirgli delle certezze, compresa quella di mangiare una volta al giorno, sarebbe cresciuto meglio. Sentiva che avrebbe potuto dargli tanto amore e trasmettergli la passione per la musica. Con lei, ancora giovane e piena di energie, avrebbe senz’altro avuto un’infanzia divertente e stimolante.
All’improvviso, come se le avesse letto nel pensiero, Angelo si svegliò e iniziò a emettere dei piccoli lamenti, senza pensarci tanto su, lo prese in braccio e se lo portò a letto. Non appena furono distesi, il piccolo si quietò, il musetto si intrufolò istintivamente nella scollatura della camicetta per cercare il seno. Kate lasciò che facesse, sentire la bocca di Angelo che cercava il capezzolo le fece provare un immenso piacere forse, ma non ne era certa, visto che non l’aveva mai sperimentato, quasi un orgasmo. Che assurdità, un neonato, il primo uomo che le stava dando amore.
Al mattino presto scese giù con il piccolo in braccio, Angelo aveva bisogno della poppata vera. La signora, intuendo che stava scendendo, le aveva fatto trovare una scodella di caffelatte e del pane biscottato. Stettero in silenzio, Kate era in preda al senso di colpa per aver pensato di sottrarre Angelo all’affetto della madre.
La signora riprese ad accarezzarle il volto, si capiva benissimo che era triste per il fatto che, da li a poco, Kate se ne sarebbe andata verso il suo nuovo destino. Sembrava che lei e Angelo, la rimproverassero di lasciarli li soli in quella misera casa. Non le riusciva di dire niente, sorrise e basta.
Si salutarono sotto la lunga pergola che immetteva nel vialetto per la strada principale. In camera aveva lasciato la fascia rossa e quel libro che si era portata di nascosto dall’America. A lei ormai non serviva più, chissà, forse un giorno Angelo lo avrebbe letto, con questa speranza e con l’augurio che potesse anche lui un giorno viaggiare seguendo la musica, gli scrisse una piccola dedica alla fine.
Riprese Angelo in braccio e se lo coccolò un’ultima volta, la signora aveva un’aria assente, Kate ebbe la netta sensazione che tutti e tre si trovassero al cospetto del treno per la libertà dove però, per il momento, sarebbe salita solo lei.