Sleepless in London

Fio dei fiori capitolo 15 – Capitolo precedente Indice


Il sonno si era preso anche Sega e io cominciavo seriamente a preoccuparmi per la mia tenuta psicofisica, era già la seconda notte in bianco e, tra qualche ora mi aspettava un volo intercontinentale con annessi problemi di fuso orario. Mi misi seduto sul letto guardando fuori dalla finestra; almeno il paesaggio era diverso dal campo de formenton che vidi la notte insonne precedente. Il Bitol aveva finito di russare, l’unico disturbo era il tanfo che emanava, invidiavo i due, non solo perché erano riusciti a prender sonno ma perché avevano dentro qualcosa che li faceva volare più in alto rispetto a me.

Tornai a ragionare sul motivo trainante della mia esistenza: l’eterna ricerca del montareo perfetto. Considerando l’ennesima delusione, contro la quale avevo appena sbattuto il muso, anche quella notte, finii per ripensare a tutte le occasioni mancate. Inevitabilmente il pensiero cadde di nuovo li, la mangiata di dita più clamorosa della mia vita.

Veronica arrivò nella mia classe in terza elementare, era nientepopodimeno che la figlia del nuovo medico condotto. Inutile dire che, a cominciare dalla maestra, per quella bambina di buona famiglia, avevano tutti un occhio di riguardo. Fui subito conquistato dalla sua dolcezza, agli antipodi rispetto al parentame più stretto che mi circondava. Dicono che l’attrazione per una persona dell’altro sesso è una questione di chimica, probabilmente è vero visto che si scatenò dentro di me una reazione inspiegabile che mi fece vincere la mia innata introversione. Cosa che non avevo mai fatto prima, mi avvicinai di lato al suo banco per invitarla a venire a vedere i coniglietti appena nati; fece un sorriso che mai scorderò in vita mia, gentilmente mi rispose che avrebbe dovuto chiedere ai suoi genitori. Non venne mai a casa mia, forse era meglio così, dato che la consideravo troppo squallida per lei.

In compenso, quello stesso anno, il 12 dicembre, mi invitò alla festicciola per il suo compleanno, schizzai al settimo cielo, ero l’unico maschio della classe ad essere ammesso ai festeggiamenti, quindi per lei dovevo essere uno speciale.

Non ero mai stato a una festa di compleanno, quelle rare volte che mi avevano invitato, fui sempre costretto dai miei a declinare l’invito in quanto comportava un sicuro esborso di denaro per il regalo. Stranamente invece, in quell’occasione non fecero alcuna obiezione, credo perché si trattava della figlia del dottore e, specie mio padre, aveva una grande soggezione nei riguardi dei studiai, come li definiva lui. Incaricarono Teresa, visto che era una donna, dell’acquisto del regalo la quale, da sempre dotata di molta fantasia e originalità, si recò in panificio da siora Ana e, comprò una scatola di cioccolatini, che miseria!

Già suonare il campanello di quella enorme villa, mi mise soggezione, la mamma di Veronica però, si prodigò per mettermi a mio agio, appena mi vide esclamò “questo deve essere il famoso Angelo!” Quell’angelo di sua figlia con un savoir faire degno dei migliori diplomatici valorizzò il mio misero e banale regalo: “guardate che lussuosissima e bellissima scatola di cioccolatini mi ha portato Angelo”, seguì un bacetto sulla guancia.

Divenni tutto rosso dalla punta dei piedi fino all’ultimo capello, quello fu sicuramente il primo serio episodio di tachicardia della mia vita. Anche se la vidi distribuire bacetti a tutti, questo non mi evitò una serie di forti sconvolgimenti interiori.

Quello strano gesto, il bacio, a parte in televisione, in casa Nosea non si era mai visto, che fosse solo una usanza da ricchi? E’ proprio vero che il primo bacio non si scorda mai, dopo trentacinque anni sento ancora le sue labbra e il suo profumo di talco. Avevo otto anni, quello era amore vero, non una semplice incocaia come la chiamiamo qua.

Solo Dio sa quante volte passavo “casualmente” in bicicletta davanti a quella graziosa villa su due piani dal giardino curatissimo. Quanti discorsi, attraverso la rete, sul nostro futuro; quella rete, idealmente, divideva anche i nostri mondi, alquanto diversi.

Veronica era precocemente matura, faceva discorsi molto complessi rispetto alla nostra età, tali da non riuscire sempre a comprenderla, comunque, a me bastava stare li ad ascoltarla. In classe, per non essere presi in giro, non ostentavamo la nostra amicizia, era il nostro segreto, questo rendeva la cosa più eccitante.

Alle medie finimmo in due sezioni diverse, le occasioni per vederci erano più rade, anche a causa dei doppi turni; avevo però la sensazione che ora fosse lei a cercarmi. In quegli anni in cui la nostra maturazione sessuale subì una brusca accelerata, anche il nostro modo di guardarci era diverso, più malizioso. Stranamente però, Veronica non è mai stata protagonista delle mie fantasie sessuali; sognavo invece di fuggire con lei lontano da quel paese di campagna, che, iniziava a poco a poco a starmi stretto. Mentre, sotto il paron Joani Nosea, con le gambe gonfie dalle punture delle zanzare, malvolentieri davo el solfato ae vide; sognavo di passeggiare con lei, mano nella mano, nel parco di qualche grande città.

Insieme alla sua amica Cristina, quasi ogni giorno, con discrezione, mi accompagnava per un breve tratto all’uscita da scuola.

Nonostante quel forte sentimento che, via via, cresceva in me, bloccato dalla mia timidezza, non ebbi mai il coraggio di dichiararmi apertamente, nemmeno lei, a dire il vero, manifestò mai le sue intenzioni, tranne quel giorno.

Quella domenica, me la ricordo benissimo, il 29 giugno 1980, san Petro e Paolo, avevo appena finito le medie. Pur essendo “in età avanzata” per quel mestiere, servivo ancora messa come chierichetto. Veronica non veniva a messa tutte le domeniche, quel giorno era li, seduta su un banco a metà navata, notai che non smise di togliermi gli occhio di dosso nemmeno per un attimo, iniziai a sudare dalla felicità. Finita la messa andai nel bagno della sacrestia a sistemarmi un po’, convinto che fuori dalla chiesa sarebbe finalmente successo qualcosa. Con il cuore che andava a mille, scostai lentamente la pesante tenda del portone principale, la scorsi ferma immobile con lo sguardo rivolto proprio verso l’ingresso, d’improvviso mi prese il panico e mi mancò il coraggio di uscire, da perfetto codardo feci dietrofront e rientrai in sacrestia.

Più volte, durante la insonne notte londinese, mi ripetei la stessa domanda, ma che cavolo mi era preso? La paura di svegliare i due amici mi trattenne dal sbattere la testa sull’armadio.

Dopo quel 29 giugno Veronica si dissolse nel nulla, probabilmente quell’estate la passò lontano dal paese. Quello stesso anno, una sera di fine ottobre, ci fu una delle prime, fittissime nebbie della stagione, suo padre mentre a piedi si stava recando a far visita a un anziana paziente fu travolto in pieno da un’auto e morì sul colpo. Il giorno del funerale fu l’ultima volta che la vidi, subito dopo si trasferì con la famiglia a Padova, la loro città natale.

Non ebbi neanche in quella tristissima circostanza il coraggio di avvicinarmi a lei, se fossi stato un uomo vero avrei dovuto stringerla forte e rendergli quel bacetto sulla guancia.

Alle quattro e mezza del mattino la stanza era già invasa dalla luce, ovvio, eravamo più a nord; la rabbia interiore era ancora forte, per alleviarla, trasferii i pensieri sulla colazione, volevo proprio vedere com’era questa famosissima colazione inglese, il mio stomaco cominciava a eccitarsi, stavo tornando in me.

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