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Fio dei fiori capitolo 8 – precedente


Appena sceso dall’auto, un’inaspettata brezza fresca che aveva mitigato l’afa mi avvolse, decisi di non salire subito in casa e andai a fare due passi. L’aria portava il profumo dei campi vicini e le note di una canzone, succede in momenti di solitudine e silenzio come questo, la musica echeggia d’improvviso nella mia testa. Pensai a Kate mentre mi coccolava, la Bepina non mi ricordo l’avesse mai fatto.

Grazie alla provvidenziale brezza, decisi di dormire con la finestra aperta, è un lusso che, in certe sere d’estate, chi come me abita al quarto piano di una palazzina confinante con campi, si può tranquillamente permettere. Disteso a letto con le mani dietro la nuca osservai le stelle, sebbene filtrate dalla zanzariera si vedevano benissimo, saranno le stesse che si vedono in America? Ho sempre odiato la monotonia, le innumerevoli giornate che trascorrono fiaccamente tutte uguali senza che non succeda mai niente di eccitante, oggi di sorprese ne avevo avute fin troppe, l’ultima me l’avevano riservata i due mul.

Dovetti inchinarmi di fronte al notevole bagaglio culturale del Bitol, finora non l’avevo mai tenuto troppo in considerazione dal punto di vista intellettuale. La musica e le canzoni gli entravano in profondità, non si limitava ad ascoltarle distrattamente come faccio io, voleva capirne il significato e la storia; questo lo aveva portato a imparare, da autodidatta, la lingua inglese; seppi più tardi che passava ore a cercare i testi in Internet poi, con l’aiuto del vocabolario e del buon Google, li traduceva. La sete di conoscenza lo portava a scaricare dal Web ogni genere di musica, in particolare di autori che non aveva mai sentito nominare, altro che film porno, come malignamente pensavo io. Mi ricordai solo ora che in casa, oltre alle collezioni di vecchi fumetti di supereroi e del mitico ”Intrepido” di cui andava matto, c’erano una moltitudine di dischi in vinile, CD e, chi l’avrebbe mai detto, libri. Negli scaffali erano sistemati in ordine alfabetico le biografie e i testi dei vari artisti compreso il materiale ricavato da Internet che stava dentro dei quaderni ad anelli rigorosamente etichettati sul dorso.

Che dire poi del Sega, lo chiamavamo così per due motivi, l’aspetto fisico, magrolino e di bassa statura, e la sua abilità nel costruire di tutto, specie con il legno. A lui, come potete immaginare, quel nomignolo non è mai piaciuto, sinonimo di uno che se lo mena tutto il giorno, era sempre stato, anche a causa degli occhiali a “fondo di bottiglia”, schernito in continuazione.

Di noi tre è l’unico ad avere dei genitori di stampo moderno e non dei trogloditi campagnoli come quelli miei e del Bitol. Il papà Sergio, uno dei pochi, in paese quarant’anni fa, a possedere un’auto, faceva il custode alla SICE, una delle più grosse fabbriche di mobili, dove ora lavora il Sega come responsabile della manutenzione macchinari, fu lui a regalargli quand’era piccolo, la scatola del traforo che, scatenò la sua abilità. La mamma Marisa era bidella nella scuola elementare nonché ottima cuoca, io e il Bitol continuiamo a darle scherzosamente la colpa di averci fatto crescere la pancia a son di inviti a cena e pranzo.

Mio padre, non aveva una grande opinione dei genitori di Sega, li definiva spregiatamente dei “basabanchi democristiani” a causa della loro assidua frequentazione della chiesa, non c’era da stupirsi lui, in genere, non aveva una grande opinione di nessuno, me compreso.

 Abbiamo iniziato a conoscere il mondo che stava fuori dal nostro paese solo grazie al sior Sergio che ci scarrozzava con la mitica 600 azzurrina, unica via di fuga dalle piatte domeniche che si prospettavano in paese.

Sega, è sempre stato un genio e un vulcano di idee. Fin da ragazzi, quando giocavamo, se per caso non avevamo qualcosa, ci pensava lui a costruirla. Mi tornò in mente quella volta, quando spopolava il gioco del Monopoli, visto che nessuno di noi ce l’aveva, usando quello che c’era a disposizione, ne costruì un clone artigianale.

Anche Sega ha, come dico io, la musica nel cuore da quando, all’età di sette anni, ricevette in regalo dai suoi un mangiadischi a oggi, mi confidò, è uno dei più bei regali ricevuti.

Immediatamente condivise quella meraviglia con noi, il miracoloso strumento che faceva uscire suoni ingoiando un piccolo disco di vinile ebbe il potere di colorare tante giornate grigie, di metterci di buon’umore quando eravamo giù di corda ma, soprattutto di farci sognare. Lo portavamo con noi dappertutto, all’ombra del figher a fianco casa mia iniziammo a ascoltare le prime canzoni “da grandi”, ovvero i 45 giri che Sega  si faceva prestare da sua cugina Franca così, in quell’angolo sperduto di campagna del basso Piave risuonavano le note dei più famosi artisti in voga al momento, momenti magici spesso interrotti bruscamente da un imbestialito  Joani Nosea che, urlandoci contro ci cacciava via in quanto gli davamo fastidio, ulteriori spiegazioni era inutile chiederle.

Sega si appassionò a tutto ciò che riproduceva un suono, in seguito iniziò a costruirsi personalmente casse acustiche e amplificatori per ottenere sempre più la perfezione nell’ascolto.

Un mistero rimane ancora il motivo per cui non abbia proseguito gli studi nonostante gli ottimi risultati alle superiori e l’incoraggiamento dei genitori.

Quella notte mi resi conto di avere due amici pieni di talenti e che io, finora, avevo sempre cercato a malapena e maldestramente, di imitare. Rincorrevo i loro interessi, mi ero comprato una chitarra e una tastiera senza mai imparare a suonarle, possedevo un’enorme quantità di dischi e CD che, non ricordo nemmeno di avere, acquistati solo perché era musica di tendenza o per l’accattivante copertina.

Mi resi conto che, a parte quello che mi sentivo di definire l’unico scopo della mia vita, ovvero l’ostinata ricerca di una donna, possibilmente gnocca, non avevo in realtà altri interessi se non quelli asserviti allo scopo citato.

Osservai la libreria, specchio del mio modo di vivere, piena di libri non letti, di videocassette e DVD ancora incellofanati ma, soprattutto, piena di cazzate per le quali avevo speso molti soldi.

Diedi un’occhiata alla sveglia sul comodino, erano le cinque e un quarto, quella era stata  ma soprattutto, doveva rimanere, una lunghissima giornata, l’inizio di una svolta nella mia vita.

Continua ….

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