Fio dei fiori capitolo 6 – Capitolo precedente – Indice
“Avrei già un idea”, disse il Bitol mezzo secondo dopo che il Rutto ebbe chiuso il blocchetto delle ordinazioni, “c’è una cosa prima che…”, dall’eccitazione non riuscii a finire la frase, feci un profondo respiro e, in modo cerimonioso, misi sul tavolo il libro. I due soci mi guardarono in modo strano, Sega lo tirò a se e iniziò a sfogliarlo come farebbe un insegnante quando gli consegni il compito.
Con un sorrisetto sarcastico e agitando le mani giunte sentenziò: “Bah vediamo, sacco a pelo e chitarra ce l’abbiamo, il problema sarebbe trovare uno di quei vecchi pulmini Volkswagen, ferie on the road, che figo!”. Incredibile, mai avrei immaginato che conoscesse il libro, mi prese inoltre un profondo senso di sconforto nel sentirmi preso per i fondelli riguardo qualcosa che per me era molto importante.
“Questa non l’avevo vista, che roba è?” disse con gli occhi puntati sulla dedica, seguirono a razzo quelli del Bitol, ansimando iniziai a raccontare tutto e calò il silenzio.
“Però” disse il Bitol con il groppo in gola, tentò di celare la commozione nascondendo la faccia dietro il libro, “fioi, che coincidenza, che segno del destino!”. Come cavolo faceva a conoscere l’inglese, quel salta fossi uscito a pedate nel culo dalle medie. Non capii a cosa alludeva con quei discorsi sul destino, per un attimo pensai che il libro fosse ancora intriso di marijuana.
Pur essendo il locale pieno di gente, ci sentivamo stranamente isolati, Sega rilesse la frase mentre spostava a destra e a sinistra le labbra serrate, di solito fa così quando è di fronte a un problema da risolvere con rigore scientifico poi, sussurrando quasi si vergognasse a dirlo: “tu penseresti che..”; interruppe deciso l’altro, “Cari i miei ignoranti, dovete sapere che quelli erano i tempi dell’amore libero, per dirla volgarmente, tutti ciavava con tutte, i bambini nascevano così come se niente fosse e tu caro, mi sa che potresti essere uno di quelli!”, si alzò di scatto e prese a scuotermi bruscamente le spalle, “hai capito, sei un fio dei fiori!!”. Iniziammo a ridere a crepapelle tra gli sguardi incuriositi degli altri avventori.
“Se questo non è un segno”, disse alzando le braccia al cielo, io e Sega continuando a non capire gli imponemmo, una volta per tutte, di chiarire, “che anni, che musica!”, senza risponderci, continuò il suo discorso dando il via a un’interessante conferenza sugli hippies e le canzoni di quel periodo, lo seguivamo incantati senza accorgerci che il Rutto ci aveva portato le pizze da quasi cinque minuti.
“Amici, miei cari mul, ascoltatemi bene”, il Bitol sbatté il libro sul tavolo mentre teneva un pezzo di crosta di pizza tra le labbra a mo’ di sigaretta, “da ignoranti in materia non credo sappiate cosa è successo, fatalità quarant’anni tondi tondi fa?”, mi corse un brivido giù per la schiena quando il nostro guru tiro fuori una sgualcitissima rivista per sfegatati di musica e annessi, “guardate qua e poi ditemi se questo non è destino”, disse fiero mentre ci faceva passare ripetutamente davanti agli occhi la rivista aperta dove campeggiava il titolone “Woodstock 40”.
Era venuto alla riunione, sto’ giro più convinto che mai, per proporci di fare una di quelle cose da “almeno una volta nella vita” o meglio, quello che un rocchettaro vintage come lui avrebbe dovuto fare almeno una volta nella vita ovvero, recarsi in pellegrinaggio nel luogo dove nell’agosto del 1969 si tenne il festival rock più famoso della storia.
Balzò in piedi di scatto brandendo quel povero libro che ormai, da quando era nelle sue mani, aveva subito una rapida accelerazione nel processo di invecchiamento e, ancora con il filo di mozzarella che gli pendeva dalla bocca proclamò: “ora avete capito cosa centra il destino, basta fare due più due per capire che … che …”, qui è meglio saltare la volgarissima esclamazione, ”..a Woodstock quest’anno ci saremo anche noi! Avanti miei prodi mul, si va sulle tracce della musica e di Kate!!”, e partì con un medley di canzoni, presumo dell’epoca, pensare che aveva bevuto neanche un quarto della sua birra.
Stranamente anche lo scettico Sega avvalorò la tesi del socio, si ricordava, in particolare, di un episodio accaduto quando era piccolo; allora si accamparono nel campo vicino a casa dei ragazzi stranieri con i capelli lunghi, alcune ragazze avevano delle fasce tra i capelli che lui soprannominò “le indiane”. Una di loro, facendosi capire a gesti, chiese alla sua mamma di riempire una specie di bollitore con dell’acqua, la signora Marisa fece di più, gli passò per la rete anche un pezzo di sopressa e un po’ di amoi, ritenendo quei pori fioi alquanto malnutriti.
Nella mente aveva ancora impresso il dolcissimo sorriso di quella ragazza bionda mentre, sempre a gesti, li ringraziava poi, dolcemente, gli accarezzo la testa mentre con l’altra mano fece il gesto di “OK” rivolto alla sua mamma, notai la sua malcelata commozione mentre lo raccontava. Considerando anche quest’ultimo elemento, l’ipotesi di essere un “fio dei fioi dei fiori”, diveniva, nella mia mente, più realistica che mai.
Il Bitol iniziò con la seconda parte della conferenza, per sicurezza gli tolsi il libro dalle mani prima che iniziasse a distruggerlo definitivamente. Ci spiegò tutto su Woodstock, le sue parole erano intrise di passione e grande competenza tanto che alla fine Sega fischiò e fece il cenno di togliersi il cappello. Non era mai stato un grande oratore, ma quella sera le sue parole ebbero il potere di suscitare in noi una forte attrazione, per tutto ciò che riguardava gli hippies e il loro mondo.
Ebbi un tremore al pensiero che l’idea del Bitol stavolta potesse finalmente realizzarsi concretamente, per noi questo sarebbe stato “il viaggio” con la V maiuscola. Che la cosa stesse prendendo una piega seria lo confermò la sorprendente reazione di Sega. Conosciuto per uno che ha diffidenza e negatività insite nel suo DNA, con insolito entusiasmo, si fece carico dell’organizzazione, le sue parole poi, “dobbiamo proprio andarci”, ricalcavano, a proposito di destino, quelle scritte da Kerouac “dobbiamo andare e non fermarci”, il dado era tratto.
Uscimmo fuori in religioso silenzio poi, prima che salissi in auto Sega mi disse: “dai che andiamo da Kate”, e mi mise un braccio intorno al collo, non lo aveva mai fatto da quando lo conoscevo.
Capii in quel momento che il viaggio oramai era una realtà anzi, una necessità.
Continua …