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Fio dei fiori – Capitolo 6 – Capitolo precedente  – Indice


E una grande festa fu, in pieno stile caraibico. Unica nota stonata, nel vero senso della parola, alcuni brani “live” eseguiti dai due Bitol. Non si era mai visto il bar così pieno di vita  e …di montarei che, complice la bella stagione, erano poco vestite. Mi girava la testa a vedere quelle gonnelline svolazzare a ritmo di salsa, da dove saltassero fuori era un mistero, a sentire Gioni, erano tutte del suo giro.

Quella indimenticabile sera si settembre fu la più bella passata al bar de sior Ugo e ea Pina. Sega, arruolato come DJ per l’occasione, ad un certo punto andò via di lenti come se piovesse. Me ne stavo in piedi come un deficiente appoggiato a una colonna quando, lei venne diritta verso di me; sorridendo allungò la mano e piegò la testa su un lato, non mi disse niente ma capii subito che voleva ballare. Con Lisa, riuscii a capire solo il nome, complice probabilmente il mojito che, il Rutto aveva preparato in quantità industriale; furono venti minuti eterni e intensi. Ricordo solo i suoi limpidissimi occhi verdi e il buonissimo profumo. Pensate che, ancora oggi, ogni tanto vado in profumeria e, di nascosto, annuso le varie bottigliette con la speranza di riconoscerlo.

Ci mettiamo li?”, indicò il dondolo sotto la pergola, ci sedemmo, io immobile e rigido come un baccalà, mentre lei si mise comoda con le gambe piegate sul cuscino e la testa appoggiata sulla mia spalla. “Non so di preciso perché, settembre è il mio mese preferito, che bello, guarda lassù come si vede bene il carro”, ovviamente non capii subito che si riferiva all’Orsa Maggiore. L’istinto mi sussurrò di non aprir bocca e godermi il momento; era la cosa migliore da fare; con una così non potevo rischiare di rovinare tutto sparando frasi alla cazzo di cane, giusto per dire qualcosa.

Il silenzio ci avvolse nonostante i rumori della festa; solo il canto dei grilli, trasportato dall’arietta tiepida di settembre che, da quel giorno, diventò anche per me il mio mese preferito. Lisa si addormentò sulla mia spalla, con le gambe continuavo a far muovere dolcemente il dondolo, guardavo felice il cielo e … speravo.

Se, come ho detto prima, i Bitol sono perseguitati da un infausto destino per quanto riguarda il lato economico, io lo sono sul piano sentimentale. Quel giorno il destino si materializzò nella faccia grassa, sudata e imbestialita di Gino che, spintonando qualche presente, di diresse come un bulldozer verso di me, intimandomi di correre a casa perché la Bepina era sparita. Il suo alito fetido e la puzza di sudore fecero svanire tutto di colpo, spostai delicatamente la testa di Lisa e seguii Gino che, nel frattempo, continuava a imprecare per il fatto che me ne stavo sempre in giro a far tardi.

Gli occhi dell’intera famiglia Pasqual erano puntati come fucili su di me, compresi quelli dei miei due nipoti Paolo e Lorena, se non avessero perso tempo per cercarmi e processarmi, probabilmente la Bepina l’avrebbero già trovata, pieno di rabbia me ne uscii fuori.

Grazie alla luna piena, non mi fu difficile individuarla sotto le viti di uva fragola, vaneggiava chiedendo di portare i secchi per mettere l’uva, era convinta che si sarebbe vendemmiato. Non la riportai subito in casa, povera Bepina aveva sentito il richiamo della terra, mangiammo un po’ di uva sotto il cielo stellato, stetti anche con lei in silenzio come avevo fatto pocanzi con Lisa, era felice e lo ero anch’io, continuavo a pensarla, poi la presi sottobraccio e ci incamminammo verso casa.

Non appena varcata la soglia, fui accusato di essere il solito figlio menefreghista che pensa solo a divertirsi, mentre a loro toccava solo sgobbare, non una domanda su come stava la mamma. Rimasi come paralizzato senza proferir verbo e accompagnai la Bepina a letto. Stetti con lei finché non li sentii andare a dormire poi, me ne andai nella mia vecchia camera, aprii la finestra per rivedere quel bellissimo cielo stellato, me ne stetti così, senza addormentarmi, con le mani dietro la nuca fino all’alba, ormai era già domenica.

Mi svegliarono i borbottamenti di Gino e la Teresa provenienti dalla camera della mamma, feci di tutto per evitarli ma, dovetti per forza andare in bagno, “Guarda che bisogna fare qualcosa”, sentenziò Gino, “va bene” dissi, tanto la mia testa era altrove.

Poco prima di mezzogiorno ero già al bar, el Rutto e gli altri stavano riassettando il locale. Arrivò puntuale la battuta del Gioni, ovviamente di genere spiccatamente sessuale, riguardo la serata passata; non ci feci caso e mi precipitai subito dal Rutto per chiedere informazioni sulle tipe della sera scorsa. Si trattava di un gruppo di amiche andate a festeggiare non so cosa in pizzeria da Ciro, il quale, pensando di fare un favore alla collettività, aveva ben pensato, per il fine cena, di dirottarle dal Rutto; mistero svelato ma, per me, magra consolazione. Anche stavolta tutto era miseramente sfumato e sfuggito dalle mie mani, maledetta la sorte che mi si era accanita contro. Finii la giornata in preda alla depressione condita con un forte mal di testa.

Tre giorni dopo, Maria Milagros, che già stava dietro il bancone come se fosse la padrona del locale, mi porse un bigliettino con un numero di cellulare, “Es la chica che stava aquì sabato noche, me ha chiesto de te, te voleva saludar”. Con la mano tremante presi il biglietto mentre il cuore cominciava pompare forte, la speranza si riaccendeva. Il numero lo aveva trovato Gioni, era scritto sulla porta del cesso di un autogrill, bastardi!

Santa pazienza, torniamo al Rutto; un giorno, era da poco passato il primo compleanno di Josè, passai al bar di mattina presto. Eravamo solo io e lui, mi salutò con un filo di voce, poi sospirò scuotendo la testa, senza che gli chiedessi niente si sbottonò quasi subito. Da più di un mese la mamma di Maria Milagros era gravemente malata, le costosissime cure a Cuba richiedevano un continuo invio di denaro. Maria aveva deciso di tornarsene a Cuba per un periodo, in modo da accudire la madre.

 Passò del tempo, di tano in tanto, chiedevamo al Rutto quando moglie e figlio sarebbero tornati, rispondeva sempre che sarebbe stato da li a poco. Alla fine arrivò qualcosa: i documenti per la separazione con le allegate richieste di mantenimento. “Ci Vu Di, come volevasi dimostrare”, sentenziò il Sega mentre, dalla bocca delle persone di mezzo paese usciva il fatidico “eo savevo mi”.

Di colpo svanì tutto. Svanì Maria Milagros, svanì il piccolo Josè che, si vociferava, era in realtà figlio del vero moroso cubano di Maria, svanì il bar che il Rutto dovette vendere per far fronte alle richieste economiche di Maria ma, soprattutto svanì il grande sogno di affrancamento del Rutto.

Continua ….

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