Fio dei fiori – Capitolo 4 – Capitolo precedente – Indice
Noi tutti qui in campagna abbiamo dei soprannomi, era un’usanza dettata in passato, forse dai troppi cognomi uguali. Il soprannome dei fratelli Armando e Giorgio Zago deriva dalla loro sfrenata passione per la musica degli anni ‘60 e, in particolar modo per i Beatles che, nello slang locale si traducono e, si pronunciano, Bitol. Il vero problema però, stava nel fatto che, il predetto genere musicale, loro, i Bitol, lo suonavano; Armando alla chitarra e Giorgio al basso. Sul loro curriculum artistico sarebbe meglio sorvolare, le tournée si svolgevano nel raggio di cinque kilometri dal paese, sono saliti sul palco di ben sei edizioni della sagra e tre della “concorrente” Festa dell’Unità. Nel 1978 hanno, inoltre, animato tre edizioni della messa delle dieci che, il popolo dei fedeli ha subito chiamato “ea messa bit”; solo tre edizioni perché in seguito a un sollevamento popolare, in realtà uno sparuto gruppo di vecchie vedove generose con la questua , sono stati messi al bando. Memorabili i loro sound-check, duravano quattro volte tanto le esibizioni, i fischi che uscivano dalle casse stordivano noi malcapitati amici presenti alle prove fino all’indomani.
L’officina “testarossa”, il nome deriva sia dalla famosa auto della Ferrari che dai capelli rossi dei fratelli, rispecchiava fedelmente lo status e la storia della loro famiglia. Gli Zago, detti semensa, storicamente sono persone che hanno invano tentato a uscire dalla condizione di arretratezza economica e culturale, tutti i numerosi tentativi per farlo, fallivano miseramente. Come quasi tutti noi, originariamente erano dei poveri contadini, a un certo punto, al nonno Marcello venne l’idea di mettersi a coltivare e vendere ortaggi. L’attività di Marceo semensa non portò mai ai risultati sperati nemmeno quando passò in mano al figlio Piero, il padre dei due Bitol. Dalle parti nostre molti commercianti di ortaggi hanno fatto, chiaramente alle spalle dei fisco, fortune indescrivibili, oggi hanno case favolose e se ne vanno in giro a bordo di potenti SUV, il tutto intestato a non so chi ma, per i “semensa”, non è stato così. Sono rimasti nella loro miseria e disperazione che papà Piero, puntualmente, affogava nell’alcool. Spesso tornava a casa ubriaco e purtroppo, come da copione, a farne le spese erano moglie e figli.
I bitol hanno un fratello maggiore, Antonio, detto Tonin el crucco per il fatto di aver lavorato alcuni anni in Germania, ci andò preso dalla disperazione a fare il muratore ma, mentre per gli altri nostri emigrati, e ce ne sono tanti, il destino ha riservato una vita quantomeno dignitosa, su di lui, colpito secondo me da una sorta di “maledizione dei semensa”, si abbatté la consueta miseria nera. Ritornò in paese che sembrava invecchiato di vent’anni e come il padre, pien de vin fino al collo; lo si vedeva vagare barcollando e bestemmiando quasi tutto il giorno.
I genitori dei Bitol morirono quasi contemporaneamente nel 1975, Toni che diventava sempre più ingestibile finì in istituto mentre i bitol venivano “presi in gestione” dalla vecchia zia zitella Maria ea sartora.
Nel loro DNA, Armando e Giorgio avevano un rifiuto per la scuola, per contro, una passione sfrenata per musica e motori. Zia Maria ormai sfiancata dagli inutili tentativi di far loro proseguire gli studi, si rassegnò al fatto che, prima Giorgio e poi Armando, dopo la scuola media iniziassero a lavorare come apprendisti meccanici da Bepi Argentin, il multi specialista che si occupava di biciclette, motorini, auto, trattori e qualsiasi mezzo meccanico che circolasse in campagna. Dopo la fase di apprendistato, fatta soprattutto di urlanti bestemmie e botte sulla testa che, il vecio Bepi somministrava in forti dosi, diventarono dei discreti meccanici, con un discreto stipendio e contratto regolare. Si fossero limitati a questo, la malasorte che da tempi memorabili affliggeva i semensa, avrebbe subito uno stop.
Purtroppo i due ci misero tutto il loro impegno e una testardaggine mai vista, nel voler diventare dei miserabili falliti a tutti i costi decidendo, alcuni anni fa, di mettersi in proprio. I soldi necessari furono racimolati dai loro miseri risparmi, quelli della zia Maria e dal finanziamento, ovvero il cappio al collo, che gli procurò l’amico Fabrizio Icio pero, cosiddetto per la testa pelata a forma di pero, un rotto in cueo impiegato della locale banca.
Finora ho visto la stragrande maggioranza delle officine meccaniche svilupparsi e cavarsela egregiamente, la “testarossa” no, secondo Giorgio è colpa delle nuove auto, sempre più complesse e piene di elettronica, tali da dover ricorrere per forza ai signorini meccanici in camice bianco dei concessionari. Io, invece credo che, certa gente ha il potere di attirare su di sé miseria e il fallimento e che, ogni tentativo per riscattarsi sia, nella migliore delle ipotesi, inutile, quando non porta addirittura a un peggioramento della situazione.
I due Bitol con quell’officina stentano a campare, per rendersene è sufficiente guardarla da lontano. E’ un fabbricato a basso costo con abbondante uso di Eternit ricavato a fianco della casa; abitazione e officina hanno in comune il colore un grigio e le chiazze verdi di muffa. Interessante e, nel contempo, desolante lo spazio esterno; si notano una fiat 127, prima serie classe 1976, colore verde pisello, prima auto del Tonin e, un furgone Fiat 238, classe 1974, ex mezzo “aziendale” dei Semensa, ai tempi della loro attività originale. L’interno dei due mezzi è usato come magazzino; vi sono stivati alla rinfusa vecchi pezzi d’auto che, nella logica contadina dove, del maiale non si butta via niente, possono in futuro sempre servire. Altri oggetti quali fusti, marmitte, portiere ecc. sono sparsi tutto attorno e, spesso ricoperti da una fitta coltre di erbacce. Mi vergogno a dirlo ma uso gettare nella spazzatura i prodotti dell’orto, che con insistenza ,i Bitol mi offrono; per dirne una, raccolgono l’acqua piovana, che usano per annaffiare, nei fusti dove tenevano chi sa quale schifezza. Dimenticavo, dopo la chiusura azionano l’antifurto, ovvero lo spennacchiato e puzzolente Dik, un incrocio di vari cani lupo dal pelo grigio pantegana, legato alla classica catena che scorre su un filo di ferro. Dik, come si dice, se lo conosci lo eviti, lo paragono a mio cognato Gino nel senso che non l’ho mai visto contento e felice, sempre a ringhiare e a mangiare qualsiasi cosa gli capiti, polpacci degli amici inclusi. Di consolante c’è che l’officina è anche la sala prove dei fantastici Bitol, talmente sperduta nei campi che le loro dolci note non danno fastidio a nessuno.
Continua …