Fio dei fiori – Capitolo 1 – Capitolo successivo – Indice
martedì 8 dicembre 2009
E’ dalle cinque e mezza del mattino che sto guidando a casaccio per desolati trosi di campagna senza una meta precisa e, per giunta, con un tale gaigo da non riuscire a vedere oltre la metà del cofano. Il tepore del riscaldamento e la luce soffusa del cruscotto creano un piacevole senso di isolamento, mi concentro sulla guida quel tanto che basta per non andare a sbattere contro un platano; tanto, su questa strada alberata che rievoca vecchi ricordi, potrei guidare tranquillamente alla cieca. Conosco questi posti a memoria, su questo graticolato di stradine strettissime che percorrevamo fin da bambini, mi pare di guidare a ritroso nel tempo. A farle in bicicletta ci sembravano infinite fino a quando, in sella a un vecchissimo e scoppiettante CALIFFO varcammo i confini del nostro piccolo mondo. Sognavamo il giorno in cui ci saremo comprati la macchina e, da quelle strade saremo partiti sgommando verso posti lontanissimi invece, almeno fino a quattro mesi fa, non siamo mai andati molto lontano.
E’ da ieri sera che vanno avanti a dire che hanno solo poche notizie frammentarie, classica frase di rito da telegiornale, significa che non sanno un bel niente. Fortuna vuole che, da quando ci sono i telefonini, puoi parlare da solo senza che ti prendano per matto per cui, potevo permettermi il lusso di continuare a ripetere a voce alta, come un mantra, una lunga serie di “eo savevo mi”, la frase fatalista che, ornai ci tramandiamo da generazioni.
Mai sentito pronunciare così spesso il suo nome in pubblico, l’ultima volta è stato tre giorni fa in aeroporto. Ci eravamo dilungati oltremodo con i saluti quando, dagli altoparlanti una voce di donna lo pregava di recarsi ai controlli di sicurezza; “sta tento!”, gli dissi, prima che il lungo serpentone di persone lo risucchiasse. Lui, con un’espressione fiera rispose “Camina, mona che la musica non la ga mai copà nessun”.
Probabilmente verranno a intervistarmi, meglio che pensi già a cosa dire. Però, che razza di sciacallo sono, tutto per balzare pure io agli onori della cronaca, una buona occasione per farmi notare, mi vergogno solo di averlo pensato. Ogni tanto mi viene il dubbio che, sotto sotto, anche lui si fosse imbarcato in questa avventura solo per “farse vedar” come diciamo noi ovvero, quell’incontrollabile desiderio di emergere a tutti i costi che, per gente come noi tre, cresciuta conducendo un’esistenza schiva in mezzo al nulla è facile provare fin dalla nascita.
Fuori è ormai chiaro, ora so dove andare, devo puntare dritto a Woodstock … la nostra Woodstock.
Una gran bella giornata oggi, mancano pochi giorni a Natale. Sin da bambino, sogno che arrivi la neve invece, in questo periodo, qui solo e sempre: caigo e aguasso, che tristezza!
Il sonno comincia a farsi sentire, come un automa mi dirigo verso la nostra Woodstock o almeno quello che ne rimane, è li dietro un gruppo di villette a schiera abitate solo il sabato, la domenica e altre feste comandate. El gaigo rende l’atmosfera ovattata amplificando il senso di solitudine, si aggiunge la tristezza nel vedere le villette addobbate con decorazioni falso country e i babbo Natale che si arrampicano sulle terrazze, il tutto rigorosamente made in China. Mi soffermo per un attimo a guardare la mia immagine riflessa in una delle porte finestre, quasi avessi bisogno della conferma di essere triste. Ecco Woodstock luogo dei nostri sogni, sparita la collina, in realtà un cumulo di terra depositato dopo lo scavo del canale, erano rimasti solo il boschetto di gasie e il laghetto.
Pur sapendo che mi impantanerò tutto entro nel campo, in fin dei conti è il posto giusto dove stare in un momento come questo. Ho un freddo fastidioso alla punta dei piedi, i capelli ormai tutti bagnati da questa maledetta umidità e il naso che inizia a colarmi, mi frugo in tasca e come sempre quando servono, niente fazzoletti. Decido di proseguire fino al laghetto, uno slargo del canale che per noi ragazzi era considerato tale. In momenti come questo mi piacerebbe avere il vizio di fumare per potermi accendere una sigaretta, serve quando non si sa che cavolo pensare e soprattutto che cavolo fare.
Per fortuna la musica sembra non abbandonarmi mai, nella testa echeggia la canzone che trasmettevano alla radio mentre, tutti eccitati e agitati, stavamo andando in aeroporto per il nostro primo vero viaggio.
Ripenso a tutti gli anni finora scivolati via velocemente nella routine e nella monotonia più piatta che possa esistere, li contrappongo a questi ultimi mesi vissuti intensamente, strano come può cambiare in pochi mesi quello che non cambia in anni.
Questa maledetta suoneria, devo decidermi di cambiarla. Con le dita ghiacciate faccio fatica a rispondere: “si go sentio, …cossa femo ?”.
Continua ….